GIANPAOLO ANNESE
Modena

Viaggio esclusivo tra gli affreschi di casa Leonardi: "Apriamola al pubblico"

Il proprietario del gioiello di Spezzano: «Parlerò col sindaco della mia idea»

Vincenzo Leonardi mostra le opere d’arte e, sotto, l’immobile visto da fuori

Fiorano, 21 gennaio 2015 - Cosa raffigura quell’essere con il corpo di animale e il volto sorridente di uomo? Perché è circondato da grappoli d’uva e papaveri? È uno degli enigmi della meravigliosa sala degli affreschi di casa Leonardi a Spezzano, in via Motta, l’ex avamposto militare fortificato risalente al XIII-XIV secolo, che il proprietario, il medico Vincenzo Leonardi che vi risiede da quando è nato (assieme alla moglie), ha deciso di aprire al pubblico: «Spesso su questo territorio – spiega – i visitatori dopo aver ammirato la Ferrari, non sanno dove andare. Io ne voglio parlare con il sindaco e mi auguro che la gente possa venire». La residenza è vincolata dalla Soprintendenza. Negli anni ‘90 il Comune ha imposto a Leonardi di non abitare nelle stanze del primo piano dell’edificio e lui ha ricavato cucina e camera da letto al pian terreno. Nessuno, eccetto studiosi e addetti ai lavori (tra i quali Vittorio Sgarbi una decina d’anni fa), vi ha potuto liberamente accedere. Oggi siamo in grado si svelare per la prima volta al pubblico i tesori nascosti. Nella residenza si accede attraverso una scala antica che risale al XVI secolo, dopo un ampio salone ristrutturato e contrassegnato da tre travi sul soffitto, si entra nella suggestiva ‘sala degli affreschi’ uno scrigno di tesori, soprattutto stemmi araldici di nobili famiglie modenesi, scoperto nel 1994 dallo stesso Leonardi: «Ho notato che sotto lo strato di calce c’era qualcosa. Con pazienza ho ripulito le pareti e sono pian piano emerse delle figure che poi ho fatto esaminare ad esperti». L’esito è che si tratta di affreschi risalenti al ‘400.

Vincenzo allora si è immerso nella materia e ha iniziato a recuperare libri, incunaboli, riviste e documenti sull’argomento, fino a elaborare una teoria su chi è il misterioso decoratore. «Il disegnatore ha una mano così fantasiosa, sicura, pronta», riflette Vincenzo, «per alcune analogie con altre raffigurazione mi sono convinto che si tratta della ‘bottega degli Erri’, i più grandi pittori del ‘400 a Modena che ritraggono tra l’altro lo stemma di Manfredo Pio, suddiviso in quattro parti (inquartati). Due di essi hanno appunto le bande rosse di Manfredo; il primo la croce rossa, il terzo il leone rampante di colore verde, probabilmente realizzati sul finire degli anni ‘50 del 1400, quando i Pio lasciano i Visconti per porsi al servizio dei Savoia (La croce diventa bianca in campo rosso e ha intorno una cornice con otto tortelli azzurri). La stanza e gli stemmi affrescati, esattamente dodici, numero simbolico, sono circondati da fiori e frutti di tutti i generi (da qui si ritiene che il motto di Fiorano, ‘Flos frugi’, derivi proprio da questa stanza), tra cui il melograno spaccato, simbolo di ospitalità,le pigne a testimoniare il buon governo e le mele lazzarine, tipiche del territorio, come le rose canine.

Ma ad attirare l’attenzione del visitatore sono soprattutto due sezioni. La prima è la riproduzione dello stemma di Modena sul quale campeggiano i caratteristici colori del giallo e dell’azzurro, sebbene ancora non compaiano le trivelle e il motto ‘Avia Pervia’. Elementi che sopraggiungeranno solo nel ‘500, cento anni dopo dunque, a opera del segretario del duca Giovanni Maria Barbieri, «uomo politico dotto e capace che attraverso il latino riassunse ‘la strada dove non c’era’», metafora della capacità di rendere facile il difficile. Accanto si impettisce una strana figura, una creatura con il corpo di animale, vagamente simile a una scimmia, e il volto antropomorfo, essere inquietante e al contempo affascinante. Chi è?

Cosa rappresenta? Leonardi lo ha studiato per anni, passando le notti sui libri di araldica e di simbologia, fino a quando, aiutato anche da alcune raffigurazioni simili presenti al palazzo Schifanoia di Ferrara, è giunto a una conclusione. «Qui notiamo – indica un punto con un bastone – un grappolo d’uva, quindi un fiore di papavero e la figura protagonista che ha un sorriso simile a quello della Gioconda. Questo affresco raffigura il motto ‘Bacco, tabacco e Venere’: il grappolo d’uva richiama il vino, il papavero, l’oppio e la scimmia è la personificazione della lussuria secondo le scuole più importanti del Rinascimento (come Venezia, Ferrara e Firenze). Il pittore Ercole de Robertis per esempio quando vuole indicare la lussuria la rappresenta su di un sontuoso carro che trasporta una bellissima donna circondata da piccole scimmie, lo stesso carro e trainato da scimmie». In realtà però resta da spiegare la testa di un essere umano separata dal resto del corpo da un prezioso collare: «Rappresenta il raziocinio. Quindi siamo di fronte alla contrapposizione tra un corpo scimmiesco ma che nello stesso tempo ricorda anche il veltro, il cane da caccia che compare nella stanza degli sposi del Mantegna a Mantova e che nel primo canto dell’Inferno di Dante rappresenta l’animale che ricaccerà il vizio nell’inferno, mentre il capo simboleggia la virtù e la capacità di dominarsi. L’eterno tormento dell’uomo, dunque, tra l’aspirazione alla virtù e la caduta nella perdizione».