Modena, 23 aprile 2016 - Credo che l’idea giusta per ricordare Gianni Seghedoni l’abbia avuta Giordano Galli, che fu suo centravanti in più occasioni, a livello di torneo cadetto: realizzare un campo di calcio a Valle di Serramazzoni e intitolarlo a lui, il modenese che, in veste di allenatore, portò una regione intera, la Calabria, per la prima volta in serie A. Era il 1971 e Catanzaro diventò il simbolo di una peraltro improbabile rinascita del profondo Sud. Tramite pallone.
Ecco, il pallone. Gianni ha speso una vita consumandone le emozioni. Prima da giocatore, di buon livello. Poi come tecnico. Gli piaceva insegnare quello che aveva imparato e sempre lo faceva con una mitezza che nascondeva però un carattere forte. Mi spiego: non era il caso di suscitare le ire di Seghedoni, perché quando smetteva di fidarsi di una persona, beh, era per sempre.
Siamo stati amici per tanto tempo. Lo conobbi sul finire degli anni Settanta. C’era una premiazione in una discoteca di Carpi, il locale era il Picchio Verde e lui fu così gentile da presentarmi Paolo Rossi, non ancora Pablito ma prossimo a trasformarsi in una superstar. Gianni amava intuire il talento nei giovani che iniziavano a rincorrere il sogno del campione: mi disse che quel Rossi era destinato a una folgorante carriera. Presi nota e quando, anni dopo, Pablito rifilò la mitica tripletta ai brasiliani, nel Mundial del 1982, mi ricordai di telefonargli. Invece di godersi la profezia, si fece una risata: beh, mi disse, sarebbe stato molto peggio se non mi fossi reso conto del valore di quel ragazzo!
Caro, carissimo Seghedoni. Era già anziano e ancora cercava di dare una mano al Modena, che si rammaricava di non aver mai allenato. Io andavo a prenderlo a casa, a Montale, a ore improbabili, per portarlo ad una trasmissione televisiva di grande successo: sempre disponibile, contento di poter raccontare storie di calcio, che poi per lui erano vita.
Già, la vita. Enorme fu il dolore che si portò addosso per un terribile lutto. Trovò la forza di reagire legandosi ancor più alla famiglia e quando mi parlava della figlia perduta la voce si trasformava in un sussurro e io avrei avuto voglia di dirgli che aveva un coraggio meraviglioso e glielo dicevo e lui, con un filo di sorriso, replicava che non era l’unico, che bisognava, nel limite del possibile, ricordarsi di tutti.
Insomma, è andata così. E io sono sicuro che, Dove sta adesso, avrà la fila di anime pronte a chiedergli come andò quella volta, serie A, inizio del 1972, partita Catanzaro-Juventus, in uno stadio ridotto a un pantano dalla pioggia. Ovviamente la Juve, anche allora, non perdeva mai. Ma quella volta perse. 1-0 per i calabresi di Seghedoni, rete di un certo Mammì, impresa leggendaria.
Ciao, Gianni.