Modena, 30 dicembre 2023 – Tommaso ha trent’anni, ha studiato in Inghilterra e ha lavorato per un’azienda tedesca. Poi, però, le radici l’hanno riportato a casa, a Modena. Ad aspettarlo c’era una storia iniziata prima dell’unità d’Italia, nel 1860. Perché Tommaso di cognome fa Chiarli. E da queste parti Chiarli fa rima con vino.
Figlio di Anselmo, amministratore delegato dell’azienda, e nipote del presidente Mauro, rappresenta insieme ai suoi cugini e al fratello la quinta generazione di un marchio fondato, a metà del 19° secolo, dal suo avo Cleto, il cui nome compare orgoglioso ancora oggi nelle etichette delle bottiglie più apprezzate.
Oggi la Chiarli è divisa fondamentalmente in due: una parte, quella storica, è impegnata nei mercati di grandi volumi. L’altra, ’Cleto Chiarli Tenute Agricole’, dal 2001 si è consacrata ai vini di alta gamma e – spiegano dall’azienda – difende l’identità del territorio e le peculiarità dei vitigni. Gestisce più di 350 ettari, fattura (2021) 4 milioni di euro ed esporta il 30% del prodotto.
Tommaso, partiamo dalla famiglia, il pilastro dell’azienda. Cosa fate per le feste?
"Ci ritroviamo tutti a Castelvetro, nella tenuta. C’è il ramo di mio zio Mauro – i suoi tre figli Giorgio, Stefano e Carlo con le famiglie – poi ci siamo io e mio fratello, figli di Anselmo. Festeggia con noi anche il personale, è un modo per stare tutti vicini".
Lei è il più giovane della quinta generazione dei Chiarli attivo in azienda. La sua strada è sempre stata segnata?
"In realtà quando avevo 15 anni mi sono trasferito in Inghilterra per studiare e ho continuato a formarmi lì, fino al 2018. Ho studiato l’equivalente di Economia e commercio, poi ho frequentato un master in Management. Prima di tornare in Italia ho fatto una breve esperienza in un’azienda tedesca. Non ho avuto pressioni: i miei cugini sono in azienda da tempo e mio padre e mio zio erano già soddisfatti sul piano della continuità. Ma a un certo punto ho deciso di provare anch’io, facendo fruttare la mia conoscenza dell’inglese come commerciale. Successivamente ho provato a riorganizzare l’accoglienza e la comunicazione".
Com’è stata la sua ’educazione’ al vino? C’era il Lambrusco nel biberon?
"No (ride, ndr). Da adolescente non ero particolarmente interessato al vino e all’azienda. Sicuramente avevo una conoscenza della materia superiore alla media di quell’età, ma niente di più. Nel 2010, però, abbiamo celebrato i 150 anni dalla fondazione. Ero in Inghilterra, sono tornato e ho visto i dipendenti, gli ex dipendenti, la famiglia. Solo in quel momento mi sono reso conto dell’importanza della nostra attività. Mi sono ’connesso’ anche dal punto di vista sentimentale".
Abbiamo parlato del passato. E il futuro?
"La premessa è mantenere, dal punto di vista agricolo, quanto fatto. Dobbiamo conservare al meglio i rari cloni che abbiamo selezionato e ripiantato nell’arco di trent’anni e che garantiscono la qualità e le caratteristiche di questi vini. L’agricoltura oggi è in difficoltà, in particolare nelle zone del Sorbara e del Salamino dobbiamo vedercela con la flaviscenza dorata (una grave malattia che rovina la vite, ndr), ci sono tante insidie. Come difendere i preziosi vigneti? Bisogna accrescere la percezione di qualità del prodotto in Italia: nella ristorazione c’è ancora un grande margine di sviluppo. E poi c’è l’enoturismo: un tempo i visitatori nelle cantine si contavano sulle dita di una mano in questi territori. Quest’anno, invece, a Castelvetro ne abbiamo avuti quattromila".
Ci aiuti a disegnare una ’mappa’ dei vostri vini.
"’Tenute Agricole’ propone vini spumanti, adatti a un aperitivo, un open bar, a iniziare una cena o a un brindisi natalizio. Poi ci sono i Lambrusco doc: il Sorbara in due versioni, il Vecchia Modena premium e il Lambrusco del Fondatore, il primo più definito, fresco, il secondo più complesso perché rifermentato in bottiglia. E il Grasparossa, vigneto Cialdini, adatto a pasti un po’ più ricchi, come i bolliti. Infine il metodo classico (basato sulla rifermentazione in bottiglia dei vini, ndr), che qui chiamiamo ’Quinto Passo’".
Perché ’Quinto Passo’?
"E’ la quinta generazione, ma anche la quinta svolta: prima la fondazione, poi la ricostruzione post guerra, l’entrata nella grande distribuzione, la ’Tenute Agricole’ e oggi il metodo classico. Per fare una metafora automobilistica: se finora abbiamo parlato di Audi, ’Metodo Classico’ è la Porsche. Questo progetto ci sta dando belle soddisfazioni. Voglio sottolineare, però, che non dobbiamo dimenticare il Lambrusco doc tradizionale, sia frizzante che spumante, perché su quel fronte non abbiamo competizione. Uno spumante rosso chiaro come il Sorbara, o più scuro come il Grasparossa, l’abbiamo solo noi. Ci svegliamo tutte le mattine con il biglietto vincente della lotteria, non buttiamolo".
Dei vostri vini quale preferisce?
"Il Vecchia Modena premium: brillante, leggero, piacevole".
Ora gli anni dalla fondazione sono 163: i 200 li immagina sempre a guida familiare?
"Posso dire che per quanto mi riguarda sarebbe motivo d’orgoglio a un certo punto andare in pensione – ma manca davvero tanto – lasciando una situazione positiva come quella attuale. Il momento non è semplice quindi tutta la filiera deve lavorare insieme. Difendiamo i nostri vini".