Modena, 12 settembre 2023 – “Il mondo è completamente cambiato. Oggi una buccia di patata o una scorza d’arancia vale come un filetto di vitello. Emoziona di più. E così ci evolviamo anche noi". A vederlo gesticolare e guardare lontano, si potrebbe pensare che Massimo Bottura, lo chef modenese che con l’Osteria Francescana (tre stelle Michelin) ha cambiato la cucina, pensi costantemente al futuro. Invece è un’altra la parola che lo ossessiona: contemporaneità. "Abbiamo deciso di aprire un nuovo ristorante Il Gatto Verde (di fianco a Casa Maria Luigia, il suo lussuoso b&b appena fuori città, ndr), perché volevamo investire sul tema della sostenibilità. Qui, come dicevano le nonne, non si butta via niente. Neppure una briciola di pane".
Bottura, perché il gatto è verde?
"Il verde è tutto intorno, nel parco in cui si trova il ristorante. Ma soprattutto è nella testa. E’ la sostenibilità, la tutela della biodiversità, dei nostri prodotti. E aggiungo: la tutela di tutte le persone, senza lasciare indietro nessuno".
Da qui ai suoi refettori, nati in tutto il mondo per aiutare le persone in difficoltà e combattere gli sprechi, il passo è breve.
"Esatto. Tra pochi giorni sarò ad Harlem, New York, ad aprirne uno nuovo. Anche quel progetto si è evoluto: le problematiche che c’erano quando abbiamo cominciato, nel 2015, oggi sono cambiate. È cambiato il mondo. Il progetto del Gatto Verde si integra in questa visione: recuperiamo stabili abbandonati, ruderi, proprio come abbiamo fatto con i refettori. E diamo un’accoglienza meravigliosa, grazie al nostro fuoco alimentato con le potature di queste piante. Al centro ci sono sempre le persone".
La sostenibilità, in cucina, è una lezione che si impara anche dal passato, giusto?
"Certamente, è il messaggio delle nostre nonne: fare tesoro di tutto. Proprio in questi giorni stiamo mettendo tutti i nostri fichi sotto vuoto. E i nostri alberi da frutta sono usati per le preparazioni del ristorante. Quando non c’era niente dovevi fare tesoro di tutto. D’altra parte oggi come oggi uno scarto vale tantissimo: è emozione".
Lei sottolinea sempre il ruolo decisivo degli artigiani, dai pescatori ai casari: gli alfieri della sostenibilità.
"Sono persone straordinarie che vivono con me da quarant’anni questa meravigliosa avventura. Agricoltori, pescatori, allevatori. Da anni ci riforniamo in un caseificio spettacolare della zona. I nostri clienti li mandiamo in montagna, a vedere i pascoli. Settanta vacche stanno al pascolo, settanta nella stalla. Il giorno dopo si scambiano. Eccola qui la sostenibilità".
Il suo nuovo ristorante è sostenibile anche nella struttura?
"Totalmente. Abbiamo recuperato un parco di 250 anni. Sul tetto ci sono pannelli solari che producono più di 80 kilowatt. I forni bruciano i nostri tagli di legna. E ancora: il plateatico sfrutta una tecnologia che filtra e recupera l’acqua piovana, poi utilizzata per l’irrigazione. Altre cisterne vengono scaldate con il calore dei forni. Le pietre e le ceramiche sono locali. Abbiamo fatto davvero il massimo".
E in cucina?
"Ci sono le influenze del fuoco e del fumo, che la chef canadese Jessica Rosval padroneggia. Ma soprattutto c’è tanta libertà: qui vogliamo sperimentare. Senza sprecare, però, nemmeno una briciola".