Modena, 7 novembre 2024 – Osiride, dio e giudice dei morti, è raffigurato all’interno di una nicchia: porta sul capo la corona atef e stringe fra le mani due scettri, il nekhekh e l’heqa, simboli della regalità. Questa piccola scultura in basalto nero ha più di 2500 anni e risale alla XXVI dinastia egizia: venne staccata da una statua naofora (ovvero ‘portatrice di tempio’) e alla sua base si legge ancora il nome del committente, Mut-nebet-ef.
È un prezioso reperto che – descritto come “idolo egiptio in nicchio di marmo negro” – compariva già nel 1584 in un ’Inventario di statue, vasi ed altre cose di guardaroba’ del duca Alfonso II d’Este alla corte di Ferrara.
“Eh sì, già allora gli Estensi erano profondamente affascinati dagli antichi Egizi: sono stati i precursori dell’egittomania, ben prima della spedizione di Napoleone del 1798”, sorride la professoressa Alessandra Necci, direttrice della Galleria Estense di Modena, dove fino al 4 maggio 2025 possiamo scoprire questi sorprendenti ’Riflessi d’Egitto’ che riaffiorano dalle collezioni ducali.
Per la prima volta, infatti, vengono esposti oltre 150 oggetti della civiltà egizia che i duchi d’Este raccolsero e custodirono lungo i secoli: “Gli Estensi furono voraci collezionisti non solo di dipinti o sculture – aggiunge Alessandra Necci –. Ci è piaciuto far luce proprio su un aspetto forse poco noto delle loro passioni”. Articolata in nove sezioni, la mostra ci propone “oggetti votivi e corredi funerari, bronzetti e statuette ‘ushabti’, divinità, scarabei incisi”, spiega Maria Chiara Montecchi, curatrice delle collezioni di antichità delle Gallerie Estensi.
E il Museo Egizio di Torino – in occasione dei suoi 200 anni – ha inviato a Modena anche due stele, vasetti in alabastro e statuette in ceramica e legno, dalle raccolte che Carlo Felice di Savoia acquistò già nel 1823 da Bernardino Drovetti.
Seguendo un ideale filo rosso di memoria e scoperte, il percorso ricostruisce le diverse tappe attraverso cui i duchi formarono la loro collezione. Per esempio, nel 1803 il marchese Tommaso Obizzi, per lascito testamentario, donò ai duchi non soltanto il meraviglioso castello del Catajo, presso Padova, ma anche un migliaio di opere, fra cui alcune antichità egizie.
Poi nel 1830 poi Francesco IV d’Austria Este (che pochi anni più tardi avrebbe fatto costruire il Teatro Comunale) commissionò a un antiquario di Reggio Emilia l’acquisto del grande sarcofago di Menis in calcare bianco, rinvenuto a Saqqara, che reca un’iscrizione dal Libro dei Morti, “E che io esista per l’eternità...”
I duchi amavano anche le esplorazioni. Nel 1864, pochi anni dopo aver lasciato Modena, Francesco V d’Austria Este, insieme al conte Onorio Giacobazzi e al marchese Achille Tacoli, intraprese un viaggio verso la Terra Santa e attraversò anche tutto l’Egitto: volle anche lasciare un segno della sua visita sulle pietre del Chiosco di Trajano.
In mostra possiamo rileggere il suo diario di viaggio, oggi custodito all’Archivio di Stato. E siccome l’egittomania ha influenzato nel tempo tutte le arti, a chiudere il viaggio di questi ’Riflessi d’Egitto’ sono alcune suggestioni ‘pop’, dai kolossal del cinema come ’Cleopatra’ con Liz Taylor e Richard Burton ai fumetti e i cartoni animati di Asterix, alle prese con la conturbante regina, fino alle grandi opere liriche, come ’Aida’ di Verdi o il ’Mosé in Egitto’ di Rossini, che proprio di recente ha aperto la stagione del Comunale di Modena. “L’Egitto è un archetipo potente nella coscienza di tutti – sottolinea Alessandra Necci – e, sebbene così lontano, ancora si riverbera anche nel nostro mondo e nel nostro tempo”.