FRANCESCO RINALDI
Cultura e spettacoli

«La mia poesia anarchica in lizza per il Nobel»

Francesco Benozzo fa il pieno di voti sul sito ufficiale del premio: «Chi se lo aspettava?»

MUSICA Benozzo suona l’arpa celtica. Ha imparato in Galles

Modena, 2 ottobre 2016 - IN ATTESA dell’annuncio (forse il 6 ottobre), campeggia un solo nome sul sito ufficiale dell’Accademia di Svezia dopo la domanda ‘Chi merita il Premio Nobel per la letteratura?’: Francesco Benozzo. Il filologo, poeta e musicista modenese ammette: «Sono piacevolmente imbarazzato della candidatura, ma non ho comprato alcun biglietto per Stoccolma. Escludo infatti che possa essere io, praticamente sconosciuto, a ricevere il premio».

Benozzo, com’è stato proposto – pare unico italiano – al Nobel?

«Sui nomi, in realtà, vige il segreto; un promotore, tuttavia, può decidere di rivelare la propria idea. Negli ultimi tempi sono stato conosciuto al Pen Club (importante organismo internazionale per la salvaguardia della letteratura, ndr) della Galizia, che ha avanzato la mia candidatura nel 2015 e l’ha confermata quest’anno».

Con quale motivazione?

«Inizialmente credo per protesta: per sostenere, cioè, una letteratura lontana da certe strategie geopolitiche. Poi – stando alle ragioni ufficiali – perché la mia poesia è ‘performativa’ e recupera le tradizioni orali, trae ispirazione dai luoghi naturali e per questo va oltre i confini nazionali».

Sul sito web si contano centinaia di commenti che sostengono la sua nomina.

«Da quest’anno, infatti, è possibile votare on-line. Ho ricevuto il supporto di tanti utenti e riviste specializzate, spesso con argomenti in cui mi riconosco: mi indicano come poeta epico, anarchico, della libertà. Per ora questi giudizi non influenzano l’Accademia; magari invece, in futuro, se ne terrà conto come del televoto a Sanremo. Intanto, senza montarsi la testa, per me è già un riconoscimento inaspettato e importante».

In che senso sostiene che è difficile conferire un premio per la letteratura a qualcuno di cui non si hanno testi?

«Da studioso all’Università di Bologna ho creato la etnofilologia: raccolgo cioè canti orali, nomi dialettali etc. Compongo, non scrivo, i miei poemi ispirandomi alle epopee arcaiche e medievali. Per Onirico geologico, in particolare, ho vissuto una settimana tra boschi e pietraie registrando pensieri; solo dopo li ho ‘sbobinati’ ed è nato, casualmente, il volume edito da Kolibris. È stato simile per l’anelito rivoluzionario dei vegetali trattato in Felci in rivolta. Procedo in questo modo perché penso che così nacque la poesia; anzi, la trascrizione è quasi un compromesso».

Spesso si accompagna con l’arpa celtica.

«La comprai per caso ormai vent’anni fa e non ho imparato a suonarla al conservatorio, ma in Galles. Arrivai anche in finale al Premio Tenco per la musica d’autore; adesso, invece, collaboro con un polistrumentista del nostro Appennino, Fabio Bonvicini».

Quanto è importante per il suo lavoro vivere in provincia di Modena?

«Da piccolo passavo le estati con i nonni sulle nostre montagne, per le quali sviluppai una sorta di adorazione. Appena ho potuto mi ci sono trasferito e adesso vivo vicino a Serramazzoni. A differenza delle Alpi, non sono paesaggi eclatanti, ma – cosa congeniale alla mia indole solitaria – richiedono di soffermarsi. A Modena, mi ha sempre affascinato la Porta della Pescheria in Duomo, con il racconto nordico di Re Artù. In altre persone magari non suscita granché. Ma in fondo credo che la poesia sia proprio questo: rivoltarsi contro lo sguardo abituale, dando parole nuove per guardare oltre le cose che già conosciamo».