"Per i familiari sentir pronunciare la parola ‘ergastolo’ avrebbe avuto un’eco più forte ma, purtroppo, la famiglia di due donne uccise non avrà mai giustizia. Riteniamo che le sentenze vadano rispettate e attendiamo comunque di leggere le motivazioni. Quello che possiamo dire è che siamo contenti che la presenza dell’Associazione Casa delle Donne contro la violenza come parte civile sia stata riconosciuta dalla Corte d’Assise. con la condanna dell’imputato a risarcire un danno meramente simbolico in favore dell’Associazione stessa. E’ fondamentale che le associazioni entrino nei processi per presidiare".
Così Elena Campedelli, presidente della Casa delle donne contro la violenza Odv, associazione che gestisce il Centro antiviolenza di Modena interviene sulla recente condanna di Salvatore Montefusco. L’associazione è parte civile insieme a Udi anche nel processo per il delitto di Alice Neri. Campedelli fa presente come purtroppo i numeri, ad oggi, confermino un aumento della violenza tra le mura domestiche. "Prendendo in considerazione i numeri dei centri antiviolenza di Modena, Vignola e i tre sportelli di Pavullo, Castelfranco e Nonantola – spiega – alla data di ieri erano 451 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza e nella maggior parte dei casi hanno iniziato un percorso. Erano 405 al dieci ottobre dello scorso anno: questo mette in evidenza un aumento ma per noi è importante che la violenza emerga, che denuncino e chiedano aiuto".
"Se funzionassero appieno gli strumenti per tutelare le donne, dalle leggi ai braccialetti, probabilmente la situazione migliorerebbe. Arrivano ad esempio segnalazioni che indicano come non sempre i braccialetti elettronici funzionano bene e la recente cronaca lo ha purtroppo dimostrato – dice –. Non basta quindi sostenere che il braccialetto elettronico ‘salva’ e tutela perchè se poi non funziona è ancora peggio: la vittima si sente tranquilla ma, in realtà, non sa di essere in pericolo. Servono quindi provvedimenti affinacati ad investimenti per far si che la donna vittima di violenza sia davvero tutelata. La donna inoltre è obbligata a sentire un dispositivo che suona quando l’uomo maltrattante si avvicina oltre alla distanza che è stata stabilita: questo aspetto rappresenta comunque una violenza psicologica, perché ti rimanda 24 h su 24 alla tua condizione di persona perseguitata da un maltrattante".
Al 31 dicembre dello scorso anno erano 507 le donne seguite dai centri antiviolenza del territorio. L’associazione fa presente come la decisione dei giudici di accettare quindi l’Associazione come parte civile e di riconoscere un danno abbia favorito il dibattito collettivo. "Poiché è il fenomeno femminicidio stesso ad essere collettivo e l’assenza di condivisione pubblica di questi temi conduce a silenzi educativi familiari, e a inconsapevolezza culturale familiare su questi contenuti, con ricadute importanti sui comportamenti e conseguenze troppo spesso drammatiche.
L’ammissione della costituzione come parte civile nel processo della Casa delle Donne contro la violenza ci ha consentito di presidiare a tutte le udienze del procedimento penale, con una importante valenza pubblica, in quanto la violenza domestica nella relazione di intimità, di cui il femminicidio ha rappresentato per Renata e Gabriela Trandafir l’esito irreversibile finale, non è stata solo una immane sofferenza privata delle due donne e dei loro familiari, ma questa violenza costituisce una profonda ingiustizia irrisolta che riguarda tutte le donne e la società nel suo insieme, imponendo la necessità di un ripensamento e di una profonda trasformazione dei rapporti uomo-donna come sono storicamente determinati da una persistente disparità di potere".
Valentina Reggiani