"Come stiamo? Stiamo male. Soprattutto perché non riusciamo a dare una spiegazione a quelle parole. Appena appresa la notizia, ho pensato subito a mia madre. Ecco, ancora dolore per lei". C’è rabbia e amarezza nella voce di Elena Trandafir, sorella di Gabriela, ammazzata insieme alla figlia Renata a colpi di fucile dal marito e patrigno Salvatore Montefusco a giugno del 2022 a Cavazzona di Castelfranco. La Corte d’Assise ha riconosciuto nel gesto dell’uomo ‘motivi umanamente comprensibili’ e ciò ha portato a una pena con attenuanti: niente ergastolo ma condanna a 30 anni. "Con tutto quello che hanno subito... hanno fatto la fame, sono state umiliate. Per un anno e mezzo non hanno praticamente vissuto. Dire una cosa del genere, che fatico a nominarla, ‘umanamente comprensibile’, non ha senso – continua Elena –. Come si fa a dire che si comprende umanamente un gesto del genere? Mettiamo il caso che fosse andata così come dicono; che lui ‘subisse’, ma come puoi ammazzare una ragazza di 22 anni? Non ho mai sentito una sentenza del genere. E’ stata una mancanza di rispetto per tutte le donne che stanno soffrendo ancor oggi. E’ un messaggio sbagliatissimo quello uscito dal tribunale di Modena. Chiedere di comprendere un duplice femminicidio è orribile, non potrò mai comprenderlo". Secondo la sorella e zia delle vittime, Montefusco era in realtà un padre padrone, che vietava alla moglie anche di uscire di casa. "Da cosa nasce questa sentenza? Sinceramente non riesco a capirlo. Nulla è vero di quanto è stato scritto in quelle duecento pagine e oltre. In aula Montefusco ha anche offeso e mancato di rispetto a due persone che non ci sono più e non si possono difendere. Nessuno, però, in quell’aula ha detto qualcosa e – rimarca – da parte sua non vi è stato un attimo di pentimento: rideva, sorrideva. Non potrò mai comprendere una cosa del genere". Elena sottolinea come il figlio della coppia, unico sopravvissuto alla strage, ben conoscesse la situazione tra le mura domestiche ma come abbia "inspiegabilmente" deciso di chiudere i rapporti proprio con la famiglia delle vittime. "Cosa mi aspetto? Giustizia. Spero che la verità emerga e che a Bologna (in Appello, ndr) si faccia giustizia per mia sorella e mia nipote, che aveva solo 22 anni".
Il sindaco di Castelfranco, Giovanni Gargano, sui social, pure non entrando nel merito della sentenza – "il mio rispetto per le istituzioni è profondo" – ha fatto presente che "sin dall’inizio l’amministrazione si è schierata dalla parte delle vittime costituendosi parte civile. Oggi, di fronte al forte senso di disorientamento nella nostra comunità, voglio ribadire con fermezza il nostro impegno nella lotta contro la violenza sulle donne, tutti insieme. Dobbiamo lavorare sulla prevenzione". "Modena è la dimostrazione che il patriarcato esiste ed è radicato nella società, compreso nei tribunali. Quelle addotte come motivazioni sembrano discorsi da bar. Una sentenza inaccettabile" scrivono invece le attiviste della Casa internazionale delle donne.