Modena, 14 gennaio 2025 – Imbracciò il fucile. Rincorse la ragazza in cortile per poi spararle mentre lei tentava di scappare, scavalcando il muretto. Tornò in casa e davanti al figlio minore uccise sua madre, sparandole più colpi. Dopo un lungo, sofferto processo, con numerosi testimoni, il duplice omicida non è stato condannato all’ergastolo bensì a 30 anni per una questione ‘tecnica’: i giudici hanno ritenuto equivalenti le attenuanti generiche alle aggravanti contestate. “In ragione della comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”, afferma la corte.
È destinata a far discutere la sentenza – motivata in 213 pagine – in cui i giudici della corte d’Assise di Modena spiegano perché non hanno riconosciuto l’ergastolo a Salvatore Montefusco. Parliamo del 70enne condannato a 30 anni per aver ucciso la moglie e figlia della donna il 13 giugno 2022 a Castelfranco Emilia, nel modenese: Gabriela e Renata Trandafir, 47 e 22 anni, assassinate a fucilate. La Corte d’Assise, presieduta dalla dottoressa Ester Russo, ha analizzato nelle motivazioni il contesto familiare in cui si è consumato il delitto, parlando di “motivi umanamente comprensibili” e ritenendo che l’imputato, “arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari col tempo innescate”. I giudici ripercorrono quelle dinamiche attraverso documenti, testimonianze e, nel farlo, si pongono dalle parti delle vittime, ma anche dell’imputato.
“Appare plausibile e in linea di continuità con gli sviluppi della condizione psicologica dei membri della famiglia Montefusco, che la condotta di Renata, volta a sottolineare la circostanza secondo cui il Montefusco avrebbe dovuto, tempestivamente e suo malgrado, abbandonare l’abitazione familiare, abbia determinato nel suo animo quel blackout emozionale ed esistenziale che lo avrebbe condotto a correre a prendere l’arma riposta a pochi metri di distanza nel casotto dei cani e ad attingere le vittime. Il movente non può essere ricondotto e ridotto a un mero contenuto economico sul valore della villa della Casona. Lo stesso è da riferirsi alla condizione psicologica di profondo disagio, umiliazione ed enorme frustrazione vissuta dall’imputato, a cagione del clima di altissima conflittualità nell’ambito coniugale”. Sgomento e amarezza tra i familiari. Elena, sorella di Gabriela afferma: “L’ergastolo è per noi”. Secondo l’avvocata Barbara Iannuccelli, legale di parte civile dei parenti delle vittime: “Nel processo per l’assassino di Olga Matei del 2016, uccisa dal compagno a mani nude, la corte D’appello di Bologna parlò di ‘tempesta emotiva’ creata dalla gelosia e dimezzò la pena. Mi sembra di essere tornata indietro. Speriamo nella corte D’appello”. “Una sentenza sbagliata per l’Italia intera”, commenta Marius, fratello di Gabriela”.
“A mio avviso – afferma l’avvocato dell’imputato, Marco Rossi – la corte ha analizzato in maniera precisa e puntuale quello che accadeva realmente in quell’abitazione dove l’imputato è stato maltrattato e vessato per oltre un anno e mezzo dalle vittime. Questa situazione esasperata ha fatto si che il Montefusco abbia avuto l’esplosione di ira e rabbia che ha determinato l’abominevole condotta di uccidere moglie e figliastra”.