STEFANO MARCHETTI
Cronaca

Tornano i quadri di Dresda. Tele di Garofalo in mostra

Nel 1746 il duca Francesco III, a corto di risorse, vendette cento capolavori . Ora due dei capolavori trasferiti sono esposti a Palazzo Diamanti di Ferrara .

Tornano i quadri di Dresda. Tele di Garofalo in mostra

Nel 1746 il duca Francesco III, a corto di risorse, vendette cento capolavori . Ora due dei capolavori trasferiti sono esposti a Palazzo Diamanti di Ferrara .

Era il 6 luglio 1746, quando da Modena partirono cinque carrozze, cariche di cento fra i più straordinari capolavori dell’arte, Annibale Carracci e Correggio, Guercino, Parmigianino, Guido Reni e Tiziano, Velazquez e Veronese, cento meraviglie della pinacoteca estense che Francesco III – ormai a corto di risorse – aveva deciso di cedere ad Augusto III, Elettore di Sassonia e Re di Polonia. Il duca ne ricavò centomila zecchini, circa 350 chili d’oro: fu una boccata d’ossigeno per le casse estensi, ma un brutto colpo per la collezione ducale, una delle più belle mai viste, che dovette dire addio a molte delle sue perle. La maggior parte dei dipinti della cosiddetta "vendita di Dresda" oggi è visibile – appunto – alla Gemäldegalerie della città tedesca. E molte non sono mai più tornate in Italia.

Ma proprio da oggi (e fino al 16 febbraio 2025), al Palazzo dei Diamanti di Ferrara possiamo eccezionalmente rivedere due dei capolavori finiti a Dresda, ospiti d’onore dell’incantevole mostra sul "Cinquecento a Ferrara: Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso", seconda tappa di un percorso sulla grande ‘officina ferrarese’, "una pittura d’eccellenza che poteva certamente rivaleggiare con quella toscana o quella romana", sottolinea Vittorio Sgarbi che cura l’evento insieme a Michele Danieli.

Dalla Gemäldegalerie sono state concesse in prestito due preziosissime tele di Benvenuto Tisi detto Garofalo, "Minerva e Nettuno (Allegoria di Alfonso I d’Este)", risalente al 1512, e la scena mitologica con "Venere ferita e Marte davanti a Troia", che è del 1524, dunque ha 500 anni esatti. Sono espressione di un artista eccelso che – sottolinea Sgarbi – portava in sé l’impronta di Raffaello. Entrambe le tele sicuramente partirono da Ferrara dopo che gli Estensi lasciarono la città nel 1598, e sono menzionate per la prima volta nel 1618 al Palazzo Ducale di Modena. Alla metà del ‘700 erano già a Dresda.

È invece da sempre profondamente modenese la grandiosa "Pala di San Sebastiano", uno dei capolavori di Dosso Dossi che la realizzò fra il 1518 e il 1521 proprio per il Duomo di Modena, dove è esposta abitualmente nella navata destra, accanto al presepe del Begarelli.

Restaurata completamente tre anni fa, ora troneggia (valorizzata da una migliore luce) in una delle sale del Palazzo dei Diamanti: "Si tratta di una delle opere più importanti del catalogo dossesco – sottolinea Vasilji Gusella nel catalogo –. Questa mostra offre l’op portunità di poterla ammirare da vicino, e di porla in dialogo con analoghe prove degli altri maestri della scena ferrarese".