Modena, 8 maggio 2018 - Una spedizione punitiva dai contorni inquietanti e oscuri. E il sapore di un pesantissimo avvertimento. Di un segnale che potrebbe venire anche dalla ‘ndrangheta, che si dimostrerebbe più viva che mai e ancora capace di colpire il cuore dello Stato e chi la infastidisce. Ciò che appare certo, comunque, è che chi ha massacrato di botte, poco meno di un mese fa, il collaboratore di giustizia Paolo Signifredi, ex patron del Carpi Calcio, sapeva cose che non avrebbe mai, e poi mai, dovuto sapere. Invece è riuscito, in qualche modo, ad aprire il muro di protezione che il sistema della giustizia erge a tutela di chi decide di aiutare lo Stato, e che dovrebbe essere impenetrabile e invalicabile.
Il 53enne di Baganzola (Pr), considerato dagli inquirenti il contabile del clan Grande Aracri e in passato, appunto, patron del Carpi e del Brescello calcio – pentito nel processo di ndrangheta ‘Aemilia’, già condannato nel procedimento gemello ‘Pesci’ a Brescia e a processo anche per la maxitruffa dell’acciaio da 130 milioni, in corso a Reggio Emilia – cominciò a collaborare con gli inquirenti nell’agosto 2015. Alla luce delle sue rivelazioni, Signifredi è stato spostato in una località protetta, per garantirgli la possibilità di parlare senza rischi.
Ma una breccia si è aperta nel cordone che avrebbe dovuto proteggerlo: il 18 aprile scorso, un mercoledì, pare durante il giorno, tre uomini lo hanno raggiunto dove lui si trovava, davanti a casa, tendendogli un agguato. Un vero e proprio raid: Signifredi è stato picchiato a sangue e colpito con calci e pugni. E mentre piovevano le botte, l’avvertimento: «Quando ti rimetterai in sesto, devi rettificare le dichiarazioni che hai reso», gli avrebbero detto.
Senza fare, almeno a quanto ci viene detto, riferimenti specifici a situazioni o persone in particolare, emersi dalle vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto e per le quali sta collaborando con gli inquirenti. Poi sono spariti. Signifredi è stato accompagnato all’ospedale, dove gli sono state prestate le prime cure. Stando a quanto racconta il suo avvocato, Maria Teresa Pergolari, «lo hanno massacrato, tanto che è rimasto per ventiquattr’ore privo di sensi». Ma i trattamenti sono stati presto interrotti. Troppo pericoloso, a quanto pare, tenerlo ricoverato a lungo. Così qualche frattura sarebbe stata ‘aggiustata’ in modo più sommario, e poi Signifredi è stato subito trasferito altrove. In un’altra località protetta.
Ieri mattina, in tribunale, sarebbe dovuto andare a sentenza il processo sulla maxitruffa dell’acciaio, che vede tra i venti imputati, oltre a Signifredi, anche Massimo Ciancimino, figlio di Vito, mafioso ex sindaco di Palermo. Ma durante l’udienza c’è stato il colpo di scena. L’avvocato Pergolari ha infatti depositato un certificato medico che attesta le fratture riportate da Signifredi a causa del pestaggio, per le quali i medici hanno formulato una prognosi di trenta giorni.
I giudici hanno deciso di rinviare l’udienza al 15 giugno. Anche nel recente passato il pentito era comparso in aula a Reggio, protetto dal paravento. Ma ora la difesa vuole che in futuro si cambi metodo, per garantirne l’incolumità: «Ho chiesto – spiega l’avvocato Pergolari a proposito del processo sull’acciaio – che il mio assistito possa rendere nel giro di un mese dichiarazioni spontanee, questa volta però non più in aula ma collegato in videoconferenza, in modo che possa raccontare ciò che gli è accaduto».
Da quanto emerso, il 53enne non avrebbe riconosciuto i suoi aggressori, sulla cui identità sono in corso accertamenti da parte della procura della località protetta dove si trovava quand’è stato picchiato.