di Maria Silvia Cabri
Va in scena… ‘La Grande Magia’ di Eduardo De Filippo. A portarla al Teatro Storchi di Modena, da stasera a domenica, è il regista Gabriele Russo che, a quarant’anni dalla scomparsa di De Filippo, dirige Natalino Balasso e Michele Di Mauro, nello spettacolo coprodotto da Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Biondo Palermo, Emilia-Romagna Teatro Ert/Teatro Nazionale. Una commedia nera, a tratti drammatica, sospesa fra realtà e finzione.
Come nasce il suo approccio a De Filippo?
"È frutto di un’esigenza maturata nel tempo. Sono direttore della Bellini Teatro Factory di Napoli ma ho sempre lavorato con autori diversi rispetto alla nostra drammaturgia napoletana. Da quando però ho realizzato ‘Le cinque rose di Jennifer’ di Annibale Ruccello, si è aperto un certo ‘campanilismo’ e il Dna forse prima ‘rinnegato’ è esploso. E chi potevo scegliere se non Eduardo De Filippo?".
Perché ha scelto proprio ‘La Grande Magia’?
"Fra tutti i testi di Eduardo che posso dire di conoscere a fondo, reputo che questo sia quello più necessario oggi per i temi che affronta, per le relazioni che propone, perché è una commedia squilibrata, meno lineare e matematica delle altre, sospesa e caotica come il tempo in cui viviamo. Infine, perché come regista sento di poter dare un contributo specifico e personale".
Che testo è?
"Complesso, ambiguo, sinistro, ha l’ampiezza e lo sguardo del gran teatro ed allo stesso tempo offre sfumature nere della nostra umanità, tratti psicologici addirittura espansi nella nostra società contemporanea rispetto al 1948, anno in cui ‘La Grande Magia’ andò in scena per la prima volta suscitando reazioni controverse e per lo più negative, poiché il testo non fu capito ed apprezzato, probabilmente perché non hanno riconosciuto il tentativo di cambio di registro".
Chi troviamo sul palcoscenico?
"Calogero Di Spelta, marito tradito, maniaco del controllo e incapace di amare e fidarsi, diventa uno specchio delle sfide e delle difficoltà dell’uomo contemporaneo per quanto riguarda le relazioni. È un uomo mosso da un sentimento ossessivo e con la costante esigenza di aggrapparsi a certezze granitiche, anche a costo di rinchiuderle simbolicamente in una scatola. Un luogo chiuso interpretato da Di Spelta come sicuro, una seconda prigione come soluzione per la sua relazione, per sconfiggere paure, incertezze e tormenti. Dall’altro lato, Otto Marvuglia, mago e manipolatore dalle molteplici facce: il Marvuglia/illusione, Marvuglia/realtà, Marvuglia/impostore modificano il contesto e la percezione della verità di Di Spelta, con un conseguente cortocircuito che confonde il piano dell’illusione con quello della realtà, destabilizzando i personaggi stessi e gli spettatori".