
Roberto Vecchioni "Lettere dalla mia vita"
Cinquantatre lettere, cinquantatre momenti sfolgoranti per catturare "l’ombra sfuggente della verità", quella che racconterà uno dei più grandi cantautori italiani, Roberto Vecchioni, 80 anni, stasera alle 21 al ‘Forum Eventi’ del Bper Banca Forum Monzani di Modena. ‘Tra il silenzio e il tuono’ edito da Einaudi, (titolo tratto da ‘Chiamami ancora amore’, dello stesso Vecchioni), è il libro che il professore milanese, presenterà al pubblico, mettendo a nudo tutto, le gioie, i dolori, la scoperta dell’amore come quella della morte, la diagnosi di sclerosi multipla del figlio minore, Edoardo, la crisi con la moglie e il ritorno della passione, le operazioni, attraverso le lettere di un ragazzo che cresce e di un misterioso nonno.
È stato definito il suo romanzo più intimo e struggente: com’è nato?
"Da molto tempo sentivo il desiderio di scrivere questo libro, ma non volevo fosse un classico romanzo epistolare. L’idea era di rivolgermi alla mia coscienza, per ricordare le cose belle ma anche liberarmi anche dagli errori, dagli sbagli. Si alterano 53 lettere di un ragazzo al nonno, e le lettere di questo nonno a vari personaggi storici e inventati. I due protagonisti sembrano due persone diverse. Io, con il nome di Roberto, racconto episodi fondamentali della mia vita: amori, dolori, pensieri, avvenuti dai 6 agli 80 anni. Li racconto con lettere a un non identificato nonno, che non mi risponde mai. Poi si capirà perché. E poi ci sono missive indirizzate ad altri. Il fenomeno più interessante secondo me è che ci sono lettere scritte ‘in tempo reale’, quindi con il linguaggio di un bambino di sette anni".
C’è una lettera che la rappresenta di più?
"Il ragazzino protagonista è pensoso, a volte solitario, umoristico, sa prendere in giro la vita. Ma le lettere in cui mi identifico di più sono quelle auto accusatorie: quella del mio senso di colpa per avere trascurato mio figlio. E poi ci sono quelle in cui spiego il mio essere ‘doppio’: sotto il palco una persona normale, con la paura di sbagliare, sul palcoscenico invece un altro, sicuro, spensierato e padrone del mondo".
Suo figlio, Arrigo, è scomparso lo scorso aprile. Nel libro lei ricorda anche il momento in cui è stato chiamato dall’ospedale.
"Per parlare della sua morte non uso un registro doloroso, ma ho preferito le metafore, e in ospedale sono gli oggetti stessi che raccontano il mio dolore". Non esiste una parola per chi perde un figlio, come ‘orfano’ per chi perde i genitori. Secondo lei perché?
"Perché è una sofferenza così brutta e orribile, innaturale, che nemmeno i greci se la sono inventata. Comunque ‘orfano’ va bene anche per i genitori. Anche se c’è una differenza. Sono sicuro che soffre di più una madre. Mia moglie Daria da dieci mesi si è persa, si è ammalata". Che differenza c’è tra il suo dolore e quello di sua moglie? "Io sto malissimo, mi sveglio di notte, lo sogno, ci penso. Poi ci sono volte che non mi viene in mente. Per lei Arrigo è un pensiero fisso, viene prima di tutto, e sotto succede tutto il resto. Basta una parola, un gesto, un dettaglio e torna tutto in mente, lei cambia faccia, si vede. Il suo dolore è eterno, piange tutti i giorni".
All’ultimo festival di Sanremo ha duettato con Alfa su ‘Sogna, ragazzo sogna’, facendo emozionare tutti.
"È una canzone universale, vale per i ragazzi di tutto il mondo. L’ho scritta pensando ai miei studenti. Era il giorno in cui andavo in pensione, allora ho scritto questa canzone e l’ho cantata in classe. Ma il merito di quella serata è anche di Andrea, ovvero Alfa. Mi ha cercato lui, suo papà faceva pianobar, quindi conosceva tutte le mie canzoni. Ho capito che era bella l’idea di mettere un 80enne e un 20enne insieme, è un passaggio di consegne".