Approfittando dello stato di reattività basso della vittima, a causa dell’ingestione di alcol la colpì alla testa e in altre parti del corpo per poi farla cadere tramortita nel bagno, dove fu ritrovata ore dopo. Oltre 20 anni di carcere non sono stati sufficienti a far mutare la sua personalità altamente disturbata, fortemente condizionata dalla costante ricerca di denaro legata alla ludopatia: ha individuato tre donne che per età e condizioni di vita risultavano ‘soggetti deboli’ per poi assassinarle brutalmente. Questa la convinzione degli inquirenti sul caso ‘Pasquale Concas’: il prossimo 25 ottobre il serial killer sarà giudicato con rito abbreviato per l’omicidio dell’avvocato modenese Elena Morandi. La donna fu trovata cadavere nella sua abitazione a seguito di un incendio a fine settembre 2017. In base a quanto ricostruito dagli agenti della squadra mobile, Concas (nella foto) la ammazzò di botte, voleva rapinarla dei pochi soldi che custodiva in casa.
Venerdì scorso nei confronti del magazziniere sardo la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalle difese, confermando la sentenza pronunciata in appello per il delitto della prostituta ungherese di 24 anni Arietta Mata, trovata morta nel gennaio 2018 lungo il tratto ferroviario di Gaggio. I giudici hanno motivato la condanna a vent’anni di carcere nei confronti del 51enne sardo Pasquale Concas descrivendolo come "cinico e crudele vista la modalità del delitto: ha ucciso una ragazza di soli 23 anni con brutalità, sottoponendo il cadavere ad uno scempio al fine di simularne il suicidio". I giudici avevano sottolineato come la personalità di Concas emergesse già dal precedente delitto – ovvero l’assassinio, nel ’94 ad Olbia dell’anziana Loredana Gottardi, colpita alla testa e sgozzata – così come dalle indagini sull’omicidio dell’avvocato Elena Morandi. A seguito dell’autopsia sul cadavere della donna emersero numerose fratture ed ecchimosi di natura ‘contusiva’ e traumatica che si erano verificate in rapida successione. Gli inquirenti hanno dimostrato come l’ex avvocato – trovato appunto riverso a terra, in bagno – non cercasse una via di salvezza dal fuoco – appiccato poco dopo – ma dal suo assassino. Le ustioni da calore erano localizzate inoltre nella parte posteriore del corpo, riverso a terra e non sulla testa come invece avrebbero dovuto risultare nel caso in cui la vittima fosse deceduta per le inalazioni da monossido sprigionate dal materasso su cui inizialmente si pensava fosse coricata.
v.r.