GIANPAOLO ANNESE
Cronaca

Progetto WelcHome: "Così abbiamo aiutato Alieu, Alì e Hassem a sognare il futuro"

Minori stranieri nelle famiglie, la testimonianza della prof Macchioro: "Restano con noi fino a quando non trovano un lavoro e una casa. Gli episodi di aggressione? Le comunità hanno troppi ragazzi da gestire"

Progetto WelcHome: "Così abbiamo aiutato. Alieu, Alì e Hassem a sognare il futuro"

La professoressa Silvia Macchioro con la sua famiglia ’allargata’

Modena, 11 agosto 2024 – "Non abbiamo corso mai alcun rischio e questi ragazzi ti danno tanto sul piano umano, spesso più di quello che tu puoi dare a loro". Si illuminano gli occhi alla professoressa Silvia Macchioro, ex docente di Latino e Greco al Muratori-San Carlo, quando evoca il progetto WelcHome, la possibilità cioè da parte delle famiglie modenesi di ospitare i minori stranieri non accompagnati giunti in Italia.

Silvia, per quanto tempo ha partecipato al progetto?

"Abbiamo avuto in affido in tutto tre ragazzi, uno dopo l’altro fino ad oggi. Con mio marito abbiamo cominciato nel 2017".

Si è fatta avanti lei o è stata contattata dal Comune?

"Avevo avuto esperienze di compartecipazione con i ragazzi stranieri con don Mattia Ferrari quando era alla parrocchia della Cittadella, anche se io non sono religiosa, il mio approccio è sempre stato laico. Poi ho partecipato a un’iniziativa del Comune che si chiamava ‘Conversazioni con la cittadinanza’ nella quale il Comune cercava persone per chiacchierare con gli stranieri".

Ha una predisposizione per l’integrazione delle persone straniere.

"Il Latino e il Greco mi hanno reso più sensibile al tema della ricchezza delle differenze antropologiche".

A quel punto il Comune si è rivolta a lei chiedendo se fosse disponibile ad aderire al progetto WelcHome.

"Mi hanno contattato dai Servizi sociali, hanno voluto conoscere la nostra famiglia, sono venuti a casa per verificare se avessimo una stanza vuota. Abbiamo due figli expat all’estero, per cui la nostra abitazione era idonea".

Il primo affido quando è stato?

"Nel 2018, il ragazzo si chiamava Alieu, aveva 17 anni, proveniva dal Gambia. Era stato per diversi mesi in comunità. Non andò benissimo: nessun problema grave, semplicemente non voleva raccontarci niente di lui e del suo passato, era abbottonatissimo. Dopo due mesi è tornato in comunità. Poi abbiamo riprovato nel 2019 con Alì, pakistano, 17 anni. Lo abbiamo avuto fino al primo lockdown della primavera del 2020".

Tempi difficili.

"Me li ricordo bene perché giocavamo spesso a Monopoli e Risiko con lui".

In casa in che lingua si parla?

"Uno dei vantaggi della vita in famiglia è che loro imparano prestissimo l’italiano, che in parte già conoscono. Deve sentirli come parlano alcuni di loro: hanno una correttezza dell’uso del congiuntivo e del condizionale che fa impressione…".

Il terzo che sta ancora con voi come si chiama?

"Hassem, tunisino: lui aveva 18 anni compiuti da poco, ma ci è stato affidato nel 2023 perché doveva completare gli studi allo IAL".

Quando termina il periodo di affido per ognuno di questi ragazzi?

"Non c’è un tempo predefinito. L’affido termina quando, raggiunta la maggiore età, il ragazzo ha conseguito una propria autonomia, che vuol dire avere un lavoro, una casa dove abitare, la patente, il titolo di studio e una certa padronanza della lingua. È chiaro che rimane con noi fino a quando non riesce ad essere davvero autonomo. La legge internazionale protegge i minori stranieri, ma non appena compiono 18 anni e un giorno devono poi cavarsela da soli…".

E riescono a raggiungerla poi questa autonomia?

"Alì per esempio ha lavorato come pizzaiolo, fattorino, agricoltore. Si è anche sposato in Pakistan: siamo andati al suo matrimonio. Ha pure una figlia, in qualche modo siamo anche nonni…. Adesso vive con altri ragazzi in un appartamento che abbiamo messo loro a disposizione a un ‘affitto politico’ diciamo così, visti i canoni proibitivi che ci sono a Modena".

Hassem invece?

"Ha lavorato in un paio di ristoranti; si è specializzato in disegno tecnico. Ha la patente e ora sta cercando lavoro full- time".

I minori stranieri a volte a Modena sono protagonisti di vicende di aggressioni o rapine. Soprattutto quando vivono nelle comunità. Come se lo spiega?

"I ragazzi che vengono mandati nelle famiglie ovviamente sono selezionati. Le comunità dal canto loro svolgono un lavoro egregio anche in situazioni non facili, io ho avuto modo di conoscerle perché alla san Filippo Neri per esempio tenevo dei corsi di italiano. Il problema è quando magari sono predisposte per ospitare 16 ragazzi e poi ne arrivano 26".

Se una famiglia fosse interessata a Modena a partecipare a queste esperienze cosa deve fare?

"Deve contattare i Servizi sociali del Comune. Noi abbiamo avuto relazioni con bravissime assistenti sociali, ora con la dottoressa Jessica Raineri. Credo che la vita nelle famiglie sia il miglior progetto di integrazione possibile, il metodo più efficace e concreto che ci sia. Offre molto opportunità ai ragazzi e lascia tanto sul piano umano alle famiglie".