Modena, 27 giugno 2023 – E’ stata utilizzata benzina per appiccare il rogo che ha devastato la Ford Fiesta in cui sono stati rinvenuti i resti carbonizzati della giovane mamma Alice Neri. Secondo gli esiti delle perizie, infatti, sulla vettura sono stati trovati residui di benzina che verosimilmente sarebbe stata utilizzata come agente innescante o accelerante. Per quanto riguarda l’olio lubrificante, di origine minerale, la cui presenza è stata evidenziata in più reperti, si ipotizza che lo stesso sia stato utilizzato per protrarre la combustione. E’ quanto trapela dai primi risultati degli accertamenti tecnici irripetibili svolti sull’auto della 32enne di Ravarino brutalmente ammazzata a Concordia la notte tra il 17 e il 18 novembre scorso. Come noto il principale indagato è il tunisino Mohamed Gaaloul, rinchiuso in carcere.
In sostanza il rogo non sarebbe stato appiccato con l’olio contenuto nella tanica poi sequestrata sul luogo del delitto, nelle campagne di Concordia, già frequentato da Gaaloul. L’assassino, infatti, avrebbe utilizzato inizialmente la benzina. Questo vuol dire che quella notte, chi ha ucciso barbaramente la vittima tra quei due laghetti di Fossa di Concordia, doveva essere in possesso appunto di una tanica di benzina con la quale verosimilmente avrebbe cosparso la vettura, con all’interno il corpo della vittima.
Il prossimo ‘appuntamento’ in aula è previsto per il 4 luglio: in quella data i periti sono chiamati ad illustrare gli esiti dei diversi accertamenti tecnici. Per quanto riguarda la tanica di olio esausto, la stessa che pare comparire anche in un video girato dagli amici del tunisino qualche giorno prima rispetto al delitto, secondo i periti il materiale genetico trovato sulla maniglia apparterrebbe proprio al principale sospettato. Sarebbe stata accertata la presenza di materiale genetico, seppur degradato, attribuibile a Gaaloul. L’approfondimento genetico, in sostanza, avrebbe permesso di ottenere un unico profilo aplotipico maschile parziale, sovrapponibile, per dieci marcatori su 23 testati, a Gaaloul. A tal riguardo, però, la genetista forense Marina Baldi, consulente di parte nominata dall’avvocato di Gaaolul, Roberto Ghini, sottolinea che "con dieci campioni su 23, su quella tanica può esserci il dna di chiunque. E’ poco dal punto di vista biostatistico. Stessa situazione – spiega l’esperta -, per i gancetti del reggiseno della vittima, dove sembrerebbe essere possibile la presenza di dna riferibile ad altre persone. A mio avviso sui reperti analizzati fino ad ora non ci sono tracce indicative – conclude Baldi – Non vedo un quadro accusatorio confermato dai risultati delle analisi".
Nei giorni scorsi i sommozzatori dei carabinieri hanno dragato entrambi i laghetti di Fossa di Concordia, ma dai sopralluoghi dell’intera area non sarebbe emerso alcun elemento utile alle indagini. La procura, infatti, aveva emesso un decreto di perquisizione nell’area del delitto e, in particolare, nei laghetti al fine di individuare il cellulare della vittima che mai è stato ritrovato, così come la catenina della giovane mamma. Pare che il sopralluogo, però, fosse volto anche ad individuare un’eventuale arma che – in ipotesi – potrebbe essere stata utilizzata dall’assassino. Nulla, però, è stato appunto trovato.