
Mattia Olivieri (a sinistra) alle prove in costume, si cimenta nell’ «Opera seria»
Come un viaggiatore del tempo, nell’arco di appena un mese Mattia Olivieri, baritono di classe, ‘volerà’ fra due secoli, dal Settecento più frizzante al Novecento dodecafonico. Questa sera debutterà al teatro alla Scala di Milano ne "L’opera seria" che il boemo Florian Leopold Gassmann compose nel 1769 su libretto di Ranieri de’ Calzabigi, una satira acuminata e divertente del mondo teatrale, con la direzione di Christophe Rousset e la regia di Laurent Pelly. Poi, dopo l’ultima replica del 9 aprile, si sposterà a Roma dove da mercoledì 23 al teatro dell’Opera (con la direzione di Michele Mariotti) sarà "Il prigioniero" dell’intensa opera che Luigi Dallapiccola scrisse negli anni terribili della guerra, fra il 1943 e il 1948. Due universi musicali diversi, due prove, due debutti per il cantante di Maranello, ormai un globetrotter fra i palcoscenici più blasonati del mondo.
Felice di tornare alla Scala?
"Sì, tanto, perché per me è come tornare a casa. Questo è il teatro dove ho cantato di più, conosco ormai tutti, dai musicisti ai macchinisti, ed è come una famiglia. Mi sento sempre accolto".
"L’opera seria" ha più di 250 anni, eppure alla Scala non è stata mai rappresentata...
"Già, e credo sarà una bella sorpresa anche per il pubblico. È una parodia di tutto l’ambiente teatrale del teatro, con le sue meraviglie e i suoi eccessi, l’impresario Fallito sempre alle prese con gli artisti, i soprani, il tenore supereroe e naturalmente i musicisti. Io interpreto il librettista Delirio che con il compositore Sospiro deve tenere a battesimo una nuova opera. Di atto in atto, vedremo come andrà a finire. Sarà esilarante".
È a suo agio con il repertorio barocco? Quali difficoltà riserva?
"Nel mio percorso mi sono già confrontato con il barocco, in ‘Agrippina’ di Händel e nella ‘Passione secondo Matteo’ di Bach. Ne ‘L’opera seria’ la difficoltà è soprattutto scenica: occorre che ci sia una fusione perfetta fra tutti gli interpreti e che si mantenga la tensione perché tutta la ‘macchina’ funzioni alla perfezione. La regia di Laurent Pelly è molto efficace, pulita, credo risulterà gradevolissima".
Quello del "Prigioniero" sarà tutto un altro mondo...
"Un’altra epoca e un altro orizzonte musicale. La sfida, qui, sta proprio nel rapporto fra la musica e il testo e il canto, che a volte sono dissociati per rafforzare l’espressività del dramma. Eppure, anche nell’approccio dodecafonico, trovo che la musica sia efficacemente descrittiva, capace di delineare la storia molto forte di un uomo prigioniero nelle carceri spagnole al tempo di Filippo II, nella seconda metà del ‘500. Mentre studio quest’opera, avverto l’angoscia che promana dal libretto e dalla musica, comprendo quale fosse lo stato d’animo di Luigi Dallapiccola quando la scrisse, e la sento molto vicina anche ai tempi difficili che stiamo vivendo".
Due debutti a distanza di pochi giorni...
"Mi piace affrontare sempre qualcosa di nuovo che ovviamente sia nelle mie corde. Ogni volta cerco di superare un nuovo limite, di darmi un nuovo obiettivo. L’ho fatto per il debutto al Metropolitan con ‘Florencia en el Amazonas’ (opera che è stata nominata ai Grammy, ndr), ora mi cimento in queste ulteriori prove. E altre ne arriveranno con la prossima stagione".
Intanto, dove la potremo ascoltare ancora?
"Fra giugno e luglio sarò ‘Il barbiere di Siviglia’ all’Opéra di Parigi, con la direzione di Diego Matheuz e la regia di Damiano Michieletto. Poi canterò ‘Il Trovatore’ al Tiroler Festspiel di Erl, e in agosto ‘La cambiale di matrimonio’ al Rossini Opera Festival di Pesaro. E in settembre di nuovo il ‘Barbiere’, con un’altra produzione, al teatro Massimo di Palermo".