La morte di Laila El Harim ha ferito al cuore l’intera Italia: una giovane mamma schiacciata in un macchinario mentre lavorava. Una delle tante, troppe vite spezzate sul posto di lavoro. Ieri però il giudice, al termine di un lungo processo, ha emesso una condanna di quasi il doppio della pena rispetto a quanto chiesto dalla pubblica accusa. È stato condannato a tre anni e mezzo di carcere dal giudice Natalina Pischedda il 33enne Jacopo Setti, responsabile della sicurezza della ditta Bombonette di Camposanto e nipote di Fiano Setti, 86anni, fondatore e titolare dell’azienda e iscritto nel registro degli indagati, morto l’anno scorso durante il processo.
L’operaia 40enne morì nell’agosto del 2021, schiacciata da un fustellatrice. La Procura, con i pm Giuseppe Amara e Claudia Natalini, aveva chiesto due anni per l’imputato, in virtù del risarcimento riconosciuto ai parenti della vittima oltre a 117mila euro di sanzione pecuniaria per la Bombonette. Il tribunale ha deciso invece per una multa di 250mila euro all’azienda. L’imputato rispondeva di omicidio colposo aggravato dal mancato rispetto della normativa sulla sicurezza.
"Non sono mai stato responsabile della Bombonette: era mio nonno ad occuparsi di tutto" aveva affermato in aula, attraverso dichiarazioni spontanee l’unico imputato. Dalle indagini coordinate appunto dai pm Natalini e Amara era emerso come il macchinario in cui perse la vita la giovane mamma fosse stato modificato al fine di risultare più veloce e come la vittima avesse fatto presente all’azienda le proprie perplessità e timori relativi proprio a quel macchinario.
Ad esprimere soddisfazione per la sentenza è il marito di Laila, Manuele Altiero: "Dire che sono contento, a fronte di ciò che ho perso è una parola grossa ma è andata bene – afferma – È più di quanto aveva chiesto il pm: evidentemente hanno capito quanto era grave la situazione dentro all’azienda. Hanno preso in considerazione le modifiche apportate al macchinario: era palese a quanto pare. Pare che i giudici abbiano tenuto conto di ciò che era visibile e hanno emesso una condanna più alta della pena richiesta: per me è importante". Altiero, la voce rotta dall’emozione sottolinea poi: "Mi sembra un sogno essere arrivato alla fine di questo incubo giudiziario anche se temo faranno ricorso. Sembra un bollettino di guerra quello che ogni giorno emerge dalle vittime del lavoro: L’apparato delle industrie deve andare avanti ma la condanna deve essere esemplare in questi casi’. Tutti i giorni il mio pensiero va a Laila. Della famiglia Setti non ho sentito nessuno ma non ero interessato alla vendetta; solo alla giustizia perché questa tragedia ha colpito anche loro. A mia figlia dico sempre che la sua mamma è morta perché lavorava per darle una vita migliore: farò in modo che non si dimentichi mai di lei".
Soddisfazione per la sentenza di ieri è stata espressa anche da parte di Studio3A-Valore che rappresentava i parenti della vittima. "Questa sentenza per certi versi esemplare conferma quanto avevamo sostenuto fin dal primo momento, e cioè che la morte di Laila è stata frutto di gravi e palesi violazioni sul fronte della sicurezza sul lavoro. Questa condanna da parte del Tribunale di Modena, che è andato ben oltre le stesse richieste della Procura, non servirà purtroppo per riportarla in vita né basterà per ripagare la perdita subita dai suoi cari, ma per la giustizia italiana è una pena rilevante, con l’auspicio, anche dei suoi familiari, che possa servire da monito nella difficile battaglia per invertire la tendenza sul drammatico fenomeno degli incidenti sul lavoro" commenta la dott.ssa Sara Donati, Area Manager per l’Emilia Romagna di Studio3A, che ha seguito da vicino la famiglia d’origine della lavoratrice, i genitori. i fratelli e le sorelle insieme all’avvocato Dario Eugeni del foro di Bologna.