La condanna nei confronti dell’imputato è stata pesante, quasi il doppio rispetto a quanto aveva chiesto la procura. I legali dell’imputato, ora, promettono battaglia. "Leggeremo con attenzione le motivazioni e impugneremo la sentenza".
E’ quanto affermano infatti gli avvocati Chiara Piccaglia de Eccher e Francesco Piccaglia de Eccher, che rappresentano Jacopo Setti, il 33enne responsabile della sicurezza della ditta Bombonette S.p.A., condannato a tre anni e mezzo di carcere per la tragica morte bianca di Laila El Harim, oltre alla refusione di tutte le spese processuali. Setti, nipote di Fiano, fondatore della società e secondo indagato nell’inchiesta, nel frattempo deceduto era accusato di omicidio colposo in concorso con l’aggravante di essere stato commesso con la violazione delle norme antinfortunistiche. "E’ una condanna incomprensibile e francamente abnorme – commentano gli avvocati del giovane imputato –, tanto per quanto riguarda la pena nei confronti di un ragazzo entrato in azienda da pochi mesi ed in assenza di qualsivoglia effettiva possibilità di esercizio e di concreta partecipazione ai processi decisionali in relazione alla sicurezza sul lavoro, quanto perché in totale spregio delle risultanze processuali. Risultanze processuali che hanno fatto emergere il difetto di colpa a carico dell’organizzazione aziendale e l’assenza del nesso di causalità contestato dalla Procura" concludono, annunciando appunto ricorso. La sentenza è stata pronunciata martedì mattina dal giudice Pischedda. Laila, operaia di 40 anni, lo ricordiamo perse la vita nell’agosto del 2021, schiacciata da un fustellatrice. Un macchinario su cui più volte proprio la vittima aveva espresso perplessità. La Procura, con i pm Giuseppe Amara e Claudia Natalini, aveva chiesto due anni per l’imputato, in virtù del risarcimento riconosciuto ai parenti della vittima oltre a 117mila euro di sanzione pecuniaria per la Bombonette di Camposanto. Il tribunale ha deciso invece per una multa, nei confronti dell’azienda di 250mila euro. Soddisfazione per la sentenza era stata invece espressa dagli avvocati dello Studio3A, a cui si è rivolta la famiglia della vittima fin dall’inizio: "La procura aveva accertato non solo come non fosse stato minimamente considerato il rischio di contatto dei lavoratori con gli organi in movimento durante l’uso delle fustellatrici, ma anche che, per un risparmio sui tempi di lavorazione, e quindi per trarne profitto, erano stati fatti installare nel macchinario in questione, al posto della prevista protezione statica fissa, dei "pareggiatori" regolabili manualmente, che ne consentivano l’avvio anche in presenza di un operatore al suo interno – hanno affermato. Senza poi contare le solite lacune sul fronte della formazione, non avendo fatto seguire l’imputato alla dipendente i corsi di legge e non avendola addestrata all’utilizzo di quella macchina così pericolosa e di cui lei stessa aveva fatto presente più volte i rischi". Il marito della giovane mamma morta sul lavoro, Manuele Altiero ha sottolineato quanto sia importante che la giustizia lanci un segnale forte a seguito di tragedie così grandi. "Ho spiegato a mia figlia che la sua mamma è morta mentre cercava di darle un futuro migliore".