
Franco Stefani
Ha festeggiato il suo 80esimo compleanno una ventina di giorni fa, ma dice di non essere stanco di inventare. "Anzi: ogni mattina arrivo in azienda e non vedo l’ora di realizzare quanto ho pensato la notte. E alla mia età – si schernisce – la notte si dorme poco". Eccolo qui, allora, Franco Stefani, davanti alla sua ultima ‘creatura’, ovvero Flexibox, il nuovo macchinario di Modula, ultima azienda – nel 1970 Stefani creò System, nel 2001 Laminam – nata dalle intuizioni di un imprenditore che non smette di guardare avanti perché, dice, "quello che proponiamo con Modula è un altro modo di vedere le cose, un altro modo di concepire i processi produttivi".
La ricerca viene da lontano, ripensando almeno ai primi magazzini verticali che Modula cominciò ad installare qualche lustro fa… "Quelli erano, fondamentalmente, impianti a traslo per pallet. Oggi presentiamo un progetto di intralogistica che dà la possibilità di disporre all’interno delle aree di produzione componenti gestiti nel modo più automatizzato possibile. L’information technology è protagonista della gestione di quanto è necessario ad un processo produttivo: noi lavoriamo per riorganizzare le manifatture, indipendentemente dalle loro dimensioni o dal settore cui appartengono". Non solo grandi aziende, è così?
"La filosofia è quella di partire dal basso per integrarsi verso le nuove esigenze del mercato. Penso alle piccole società di spedizione che competono con i grandi colossi mondiali e che attraverso questi sistemi possono adottare gli stessi processi di cui sono dotati big".
In quei cassetti racchiusi all’interno delle torri di Modula c’è il futuro? "C’è l’idea, ci sono codici attribuiti all’attività che si fa in quella giornata, in quel momento, in quella fase del processo produttivo. Parliamo di una realtà integrata in grado di massimizzare ogni processo produttivo ottimizzando i flussi di lavoro".
Con quali orizzonti, a livello geografico? "Quelli della manifattura evoluta. Cina, Germania, Stati Uniti: Paesi dove siamo presenti, dove facciamo assistenza e dove c’è un mercato che aspetta le nostre innovazioni".
Non ha citato l’Italia… "Perché l’Italia, per me, c’è sempre. E’ una realtà sensibile e ricettiva rispetto all’innovazione e all’automazione e non è, da questo punto di vista, seconda a nessuno. Anche se quando guardo le creazioni di Modula, viene in mente soprattutto New York e dico che questa è la ‘nostra’ Manhattan…".
In che senso? "Altezza e verticalità: questa è la filosofia. Su una base di otto metri quadrati ne sviluppo fino a seicento a seconda degli spessori dei ‘cassetti’. Ottengo, così, il massimo dell’automazione e dell’integrazione su un’area limitata. E l’area, intesa come spazio, per la manifattura contemporanea è fondamentale, non meno dell’integrazione tra fasi e componenti".
A proposito di area, inevitabile chiederle un punto di vista sull’oggi del distretto ceramico. Come valuta la congiuntura? "Non c’è nulla che ci aiuti, a Sassuolo e oltresecchia, per fare quello che facciamo nel distretto. La cosa che mi sento di dire, rivolgendomi ai miei colleghi del settore ceramico, è che sono bravissimi. Non ci sono, in Italia, le condizioni di intralogistica, di energia, di materie prime, di infrastrutture e di manodopera e nonostante questo il comparto regge".