
Il caso Montanari Drammi in sala parto: si scava nelle cartelle "Tanti attriti in reparto"
di Valentina Reggiani
Una nuova lettura della documentazione clinica dell’epoca, ovvero delle cartelle cliniche delle pazienti potrebbe aver suggerito nuovi elementi di indagine. Non solo dissidi quindi tra i medici, all’interno del reparto oppure movimenti abortisti. Da quanto trapela dal mondo sanitario, sotto gli occhi degli investigatori potrebbero esserci anche ‘incidenti’ avvenuti in quegli anni nelle sale parto. Sono diverse le ipotesi al vaglio degli inquirenti per far luce sul terribile delitto del professor Giorgio Montanari, direttore della clinica Ostetrico Ginecologica del Policlinico ucciso l’8 gennaio 1981 da mano ignota. Il caso è stato recentemente riaperto proprio grazie agli ‘spunti’ derivanti da alcune cartelle cliniche, lette oggi in un’ottica nuova. In alcune cartelle sarebbero appunto emerse situazioni poco chiare all’interno delle sale parto. Sono quindi diverse le piste seguite dagli investigatori della squadra mobile, diretta da Mario Paternoster e chiamati a far luce, dopo 42 anni, sul delitto del professor Montanari.
Il ’cold case’, infatti, è stato riaperto dopo che la vedova, Anna Ponti, oggi 90enne, si è affidata a una criminologa che ha riletto i vecchi verbali dando nuovi spunti agli investigatori. Pare che l’elemento nuovo, individuato grazie alla consulente Antonella Delfino Pesce, esperta di casi irrisolti, sia spuntato proprio dall’analisi di cartelle cliniche. L’ipotesi di qualcosa di andato storto in sala parto si affianca alle altre più volte vagliate negli anni, relative a dissidi dovuti anche alla libertà di coscienza che Montanari aveva lasciato ai medici del reparto relativamente al tema dell’aborto.
A confermare come negli anni ’80 il clima all’interno della clinica Ostetrico-ginecologica del Policlinico di Modena fosse particolarmente teso è Il dottor Vincenzo Mazza, noto professionista per vari decenni della Struttura Complessa di Ostetricia del Policlinico. "Il professor Montanari è stato per alcuni anni a Messina ed io gli avevo chiesto di entrare in reparto come studente interno per realizzare la tesi di laurea. All’epoca mi aveva affidato al professor Volpe e l’intera squadra, insieme alla dottoressa Grasso, era approdata a Modena – spiega Mazza – Insieme a noi c’era un altro specializzando, che se ne è andato subito dopo il delitto. L’arrivo in ‘massa’ da Messina non fu visto bene dai sanitari modenesi: temevano di essere ‘scaricati’ e da subito questa situazione creò tensioni e dissapori, ma anche scontri tra i modenesi e i siciliani – sottolinea Mazza – In realtà io ero molto giovane: mi riferivano spesso di scontri in reparto ma io non avevo percepito inizialmente la situazione. Ricordo bene però che – continua Mazza – dopo l’omicidio del professore anche un altro collega fu minacciato dato che trovò sul parabrezza dell’auto una busta contenente bossoli. Quello che posso dire è che Montanari ci aiutò molto e, per questo motivo, tutta la sua squadra, anche su richiesta della moglie, fece un appello affinchè il caso non fosse chiuso: chiedevamo giustizia per il professore".
Secondo Mazza, però, il movente non sarebbe racchiuso nella libertà di coscienza lasciata da Montanari ai propri collaboratori quando entrò in vigore la legge sull’aborto. "Il tema dell’aborto non credo c’entrasse – afferma – all’epoca c’era una certa fuga di notizie in reparto: chi non aveva preso bene il nostro arrivo e, in particolare quello di Montanari, cercava di far circolare notizie negative sulla sua attività e, magari, addebitargli colpe circa eventuali eventi avversi. Diciamo che cercavano di ‘inquinare’ la sua figura per ottenere prestigio".
Un altro medico e specializzando dell’epoca, che preferisce restare anonimo afferma: "Il professor Giorgio Montanari, poco dopo essere arrivato da Messina aveva iniziato a farsi accompagnare in ospedale. Non usava mai la propria auto negli spostamenti – sottolinea - lo accompagnavano al lavoro i colleghi e secondo noi sapeva di essere nel mirino".
Montanari fu ucciso con 7 colpi di pistola calibro 45 nel parcheggio dell’ospedale dopo una riunione del Consiglio di facoltà. Erano circa le 20 e la moglie lo aspettava a cena. "Un assassino improvvisato", si disse all’epoca, che ha usato proiettili vecchi, risalenti all’immediato dopoguerra. Ma rimasto impunito. Almeno fino ad oggi.