Il teatro Storchi, con il suo parquet lucidato di fresco e le sue poltrone di velluto rosso, nuove di zecca, non poteva avere una ‘ouverture’ più clamorosa di questa: la presentazione del libro di Vasco, con le troupe e gli inviati di testate e tg nazionali, ha portato la sala di largo Garibaldi sui teleschermi di tutta Italia.
"Che bello tornare in questo teatro – ha confidato Vasco –. Ricordo che da ragazzo, avevo 11 anni, io arrivavo da Zocca a Modena in pullman e scendevo proprio qui, davanti allo Storchi. Poi a piedi facevo tutti i viali, come mi aveva insegnato la mamma, e andavo a lezione di canto dal maestro Bononcini. Fu proprio lui a prepararmi per partecipare all’Usignolo d’oro. Però, se non ricordo male, la finalissima si tenne nell’altro teatro, al Comunale: beh, oggi li abbiamo gemellati con le mie liriche".
Vasco Rossi – va da sé – nella sua vita ha incrociato spesso Modena. "Ci ho passato diversi anni. Ci sono stato anche come studente in collegio, e quelli sono stati anni duri per me, ma poi ho avuto i periodi in cui ho fatto il disc jockey e allora mi sono pure divertito, e anche molto – ride –. Più che un Modena Park, per me era una Modena Luna Park".
Nel suo libro "Vivere / Living", Vasco dedica alcuni pensieri anche al suo paese natale, Zocca, che resta sempre il luogo del cuore. E si dice montanaro orgoglioso e fiero.
"Non rinnegherò mai le mie radici profonde a Zocca, dove vive mia madre, dove sono cresciuto felice in mezzo ai boschi e tanti amici. I primi sogni, le prime canzoni, la radio... Punto Radio è nata lì con la mia combriccola di amici d’infanzia. Quando cresci in un paese dove tutti ti conoscono, impari subito a non montarti troppo la testa e a mantenere i piedi ben saldi a terra. E scopri che ti serve averlo imparato, soprattutto quando scendi dal palco: è fondamentale tornare alla normalità della vita".
E rievoca anche l’infanzia, il tempo in cui aspettava con trepidazione la Befana, che gli portava in dono "pistole, carabine, giochi da tavolo, il meccano. Ho sempre desiderato una macchina a pedali, ma quella non è mai arrivata! Per questo dopo, grazie al successo, mi sono rifatto, comprando quelle vere". In una pagina ricorda anche il papà, che faceva il camionista e andava a Trento a caricare il porfido: "Io ero all’università; partimmo che erano circa le 3 del mattino, io non ero andato a letto, a quei tempi prima delle 4 non si andava a dormire – scrive -. Mi sdraiai sulla brandina che c’era dietro e mi addormentai come un sasso.
A Trento mi hanno parlato di un anziano signore, di queste parti, che per lavoro conosceva mio padre e mio zio. Alla domanda ‘Ma tuo figlio prenderà in mano il camion?’, mio padre rispose: ‘Mah, per adesso canta’...".