Modena, 17 febbraio 2022 - Abbiamo imparato a conoscerli come ‘Hikikomori’ (dal giapponese ‘hiku’, tirarsi indietro, e komoru, isolarsi) perché in Giappone questo fenomeno aveva assunto dimensioni quasi epidemiologiche. Oggi il ritiro sociale come risposta a una crisi adolescenziale è però una realtà anche nostra, dell’Italia così come di Modena. Sulle basi di questa consapevolezza è nato e si è strutturato il progetto ‘Ri-So’, che vede uniti l’azienda Usl di Modena e l’ufficio scolastico provinciale nella volontà di sensibilizzare sul tema operatori scolastici, sanitari e le famiglie stesse. Il progetto, che ha preso ufficialmente il via nella primavera del 2021, ha l’obiettivo di migliorare la conoscenza di questo fenomeno e creare una rete che sia in grado di ‘pescare’ i ragazzi a rischio prima che la tendenza all’isolamento diventi cronica. A fare da collante in questa rete tre psicologhe, inserite nel progetto proprio per offrire consulenza a tutti i soggetti coinvolti: dalle famiglie alla scuola, ai sanitari. "Un fenomeno che avevamo iniziato a studiare già nel 2018 – il commento di Silvia Menabue, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Modena –, che la pandemia ha acuito ma al tempo stesso sopito. Per riportarlo a galla è fondamentale la collaborazione tra professionisti che stiamo mettendo in campo con questo progetto, la volontà non scontata del territorio di fare rete".
Hikikomori, allarme dopo il lockdwon - Chiusi in casa (e non per il Covid): il dramma dei ragazzi hikikomori Cosa è stato fatto finora? "Incontri online che hanno coinvolto la maggior parte delle scuole secondarie di primo e secondo grado della provincia di Modena per un totale di quasi 80 istituti scolastici, con una media di 170 insegnanti presenti a ogni incontro – racconta la psicologa Elena Odorici, corpo del progetto insieme alle colleghe Nicole Bedetti e Rossella Benedicenti –. Abbiamo predisposto incontri anche per gli operatori sanitari e anche qui abbiamo registrato una media di 200 persone a incontro e, infine, una prima serata per le famiglie a gennaio che ha coinvolto più di 250 persone". A questo lavoro si aggiungono le consulenze private che, ad oggi, contano già 91 colloqui con le famiglie e 28 casi presi in carico nella nostra provincia. "Un numero destinato a crescere – il commento della psicologa Benedicenti –: più noi facciamo conoscere questo progetto, più saremo efficaci nell’intercettazione precoce del problema e nel rilevare il sommerso". Come? Facendo attenzione a tutti campanelli d’allarme del caso: "Assenze scolastiche prolungate, esoneri o uscite anticipate frequenti, un rendimento scolastico che cambia, manifestazioni somatiche, dal vomito a veri e propri attacchi di panico prima di entrare in classe, autoreclusione – spiega Bedetti –. E ancora, alterazione del ritmo sonno veglia e un notevole aumento dell’attività online, di solito social per le femmine e di gaming per i maschi, che diventano palestre virtuali dove i ragazzi possono fallire senza il peso della vergogna che li fa sentire inadatti alla vita reale". Un lavoro, come dicevamo, ulteriormente complicato dalla pandemia che sfuma il confine tra chi deve e chi vuole stare in casa, "tra la tristezza e la mancanza di prospettive figlie di questi anni difficilissimi per gli adolescenti e il ritiro sociale vero e proprio, inteso come risposta a un senso di inadeguatezza. I ragazzi hanno bisogno di un orizzonte verso cui correre che la pandemia gli ha tolto. Questa situazione ha sporcato anche il quadro del ritiro sociale, assottigliando il confine tra chi si sottrae per senso di inadeguatezza e chi, invece, perché ‘non ne vale la pena’ ", le parole di Maria Corvese, responsabile del progetto Ri-So e dei centri per l’adolescenza dell’Ausl di Modena Maria Corvese. "Centri che nel 2021 hanno registrato un più 36% di richieste di contatti", conclude. Per chi volesse saperne di più, l’Ausl ha creato una pagina dedicata al progetto e alle iniziative in corso: ausl.mo.it/ritiro-sociale.