Modena, 15 gennaio 2025 – “Vorrei chiedere alla gente comune: chi può ’umanamente’ comprendere una cosa del genere? L’assassinio di una donna e di sua figlia”. E’ il commento della giovane Rachele Cavazzuti, migliore amica di Renata Trandafir a fronte della sentenza con cui la Corte di Assise ha concesso 30 anni e non l’ergastolo – come richiesto dalla pubblica accusa – a Montefusco.
Come si è sentita quando ha letto le motivazioni della sentenza?
“Sono sincera, non le ho approfondite perché mi sono soffermata sulla frase ‘motivi umanamente comprensibili’. Mi ha sconvolta: non sono riuscita a leggere il resto. Una cosa ‘comprensibile’ si può giustificare. Ma come possiamo giustificare un doppio femminicidio?”.
Lei conosceva bene Renata, quando l’ha sentita l’ultima volta?
“Ci ho parlato mezz’ora prima che venisse ammazzata, alle 11.22 (del 13 giugno 2022, ndr), mentre tornava a casa con la mamma dopo aver fatto la spesa. Mi diceva che erano state dall’avvocato e mi aveva chiesto di vederci, finita l’udienza, perché aveva bisogno di me. Aveva anche un colloquio di lavoro quel giorno. Risentire il suo audio mi ha fatto sorridere: diceva di non ricordare l’azienda per la quale doveva sostenere il colloquio visti tutti i curricula che aveva inviato. Voleva solo essere indipendente, staccarsi da tutto”.
La Corte concedendo la attenuanti, parla di ‘clima di altissima conflittualità che si era venuto a creare nell’ambito del menage coniugale’, le risulta?
“Credo abbiano davvero interpretato male tutto. Gabriela e Renata si stavano difendendo. Non hanno iniziato loro, ma lui: non penso che cercare autonomia, libertà possa essere un buon motivo per uccidere, per maltrattare. Tutto è nato dal fatto che appunto entrambe volevano essere autonome.
Da quel momento lui ha iniziato i dispetti, le angherie. In un messaggio Renata mi scriveva: ‘mamma ha depositato la prima denuncia e lui ha iniziato a fare i dispetti’. Da quel momento la situazione è precipitata”.
Come donna e amica di Renata cosa si sarebbe aspettata dalla giustizia?
“Mi aspetto che nel Paese in cui vivo vi sia un minimo umanità, di tutela delle vittime. Qui si è creato un pericoloso precedente. Non è una questione di ‘femminicidio’: è un tema ben più ampio e sono contenta che si sia scatenata questa forte polemica, noi cittadini italiani dobbiamo sapere come viene gestita la giustizia nel nostro Paese.
I giudici popolari spero non siano l’espressione della maggioranza della popolazione”.
Cosa si aspetta ora?
“Cerco di avere fiducia sul ribaltamento di questa sentenza in Appello. Bene che oggi al fianco dei familiari vi sia un’avvocata che promette battaglia”.