ALESSANDRO TREBBI
Cronaca

Don Maurizio Setti. Missionario d’Amazzonia: "Vivo tra gli Indios. Fiumi e alberi sono sacri"

Il sacerdote è in Brasile da 25 anni. "È stata la mia vocazione da subito. Mi hanno spinto qui i racconti di don Eligio a Fiorano e alcune letture. Quando muoio voglio che le mie ceneri siano sparse nel Rio Negro". .

Don Maurizio Setti. Missionario d’Amazzonia: "Vivo tra gli Indios. Fiumi e alberi sono sacri"

È il missionario italiano più lontano, spintosi fino a Sao Gabriel da Cachoeira, bacino dell’alto Rio Negro, ultimo lembo di terra brasiliana d’Amazzonia prima dei confini con Venezuela e Colombia: la ‘cabeça do cachorro’, come viene chiamata da queste parti, la testa del cane, per la forma che i confini tracciati a fine Ottocento ricordano. Don Maurizio Setti, nato a Modena nel 1957, è in Brasile da venticinque anni. Dopo averne trascorsi diciannove nel Goias, stato del centro-sud dominato dai ‘fazenderos’, il sacerdote emiliano ha chiesto e ottenuto il trasferimento nello stato di Amazonas. Un luogo non banale: "La mia prima esperienza qui in Amazzonia – racconta – è stata a Pari Cachoeira, sul fiume Uaupés al confine occidentale con la Colombia: è lì che un giorno vorrei ritornare. I bisogni della comunità di Sao Gabriel da Cachoeira, circa 400 km più all’interno, hanno spinto il vescovo a trattenermi in paese per occuparmi anche delle comunità indigene sparse tra Rio Negro, Rio Curicuriari e foresta".

Don Maurizio, come è nata la sua vocazione missionaria? "Leggendo. Mi sono capitati in mano alcuni libri scritti proprio da missionari. Si può dire che io sia entrato in seminario per fare il missionario, è stato quello il mio sogno fin da subito".

E come ha scelto il Brasile?

"Qui c’entra più la mia storia personale. Sono stato assegnato alla parrocchia di Fiorano, e lì don Eligio Silvestri, il parroco, mi ha affascinato coi suoi racconti sulla terra brasiliana. Volevo arrivare qui per compiere la mia missione".

I primi anni li ha trascorsi in Goias?

"Sì, tra Jussara e Itaberaì, a occuparmi di un territorio fuori dai radar. Per molto tempo ho chiesto il trasferimento in Amazzonia, ma mentre nel Goias esisteva una convenzione con la diocesi di Modena, le stesse condizioni non c’erano al nord".

Cosa ha cambiato le carte in tavola?

"Il mio viaggio a Pari Cachoeira sei anni fa. Da lì ho ottenuto il trasferimento a Sao Gabriel. Sotto la supervisione del vescovo, don Edson Damian, ho intrapreso il mio percorso occupandomi dei centri della diocesi per disabili e bambini e delle visite pastorali alle comunità di indios lungo i fiumi che anno dopo anno si sono intensificate. Anche se nel 2020 abbiamo avuto grandi problemi".

Il Covid?

"Già. Per cercare di limitarne la diffusione, le comunicazioni fluviali da Sao Gabriel verso l’interno sono state interrotte. Non abbiamo più potuto raggiungere le comunità né aiutarle con medicinali o viveri".

È stata un’ecatombe?

"No! Intanto gli indios rifiutavano le medicine ‘occidentali’. E anzi, pare che con le loro piante e le loro radici, siano riusciti a resistere molto bene al coronavirus".

Quanti viaggi fa in un anno? "Partiamo in barca quattro o cinque volte l’anno verso tre direttrici: passo parecchi mesi in pellegrinaggio verso le comunità dove mi occupo di messe, battesimi, cresime, matrimoni".

Un compito non semplice? "Non sempre: alcune comunità sono più chiuse, altre invece apertissime, i viaggi si fanno solo via acqua e sono lunghi e faticosi. Ma è la mia vita, un dono di Dio. E poi ci sono alcuni aspetti anche divertenti".

Ad esempio?

"Gli indios adorano confessarsi. Il problema è che pochissimi parlano portoghese, molti parlano il loro dialetto, per me incomprensibile. Li ascolto lo stesso, alla fine assegno loro la penitenza e li assolvo".

Il ruolo del missionario oggi è totalmente diverso da quello che risiede nell’immaginario collettivo?

"Oggi non siamo persone che convertono o che impongono. Oggi camminiamo a fianco di comunità che hanno credenze e riti propri e un ruolo fondamentale per la zona, per il mondo".

Si spieghi meglio...

"Qui prima di Dio sono sacri l’acqua e la foresta, nei loro racconti sul fiume ci sono tante analogie con la Bibbia. Alle popolazioni indigene serve preservare intatta questa risorsa fondamentale per tutto il pianeta, per loro è vita. Dove ci sono gli indios e l’uomo bianco rimane ai margini, nessuno taglia alberi o drena acqua".

Morirà qui?

"Ogni anno torno a Modena un mese in estate. Sarà Dio a decidere, se dovessi morire qui vorrei che le mie ceneri fossero sparse nel Rio Negro".