Modena, 12 novembre 2024 – "Ho il peso di aver tolto la vita a una donna che amo. Ma quando il raziocinio ti abbandona fai cose incredibili. Da quando ho conosciuto Alessandra sono passati quattro anni e sto ancora così. Alessandra mi dà la forza per andare avanti, vivo anche per lei, non solo per mia madre, altrimenti mi sarei ucciso".
Giovanni Padovani fino alla fine ha cercato di convincere la Corte d’assise d’Appello che "ho ancora sicuramente dei problemi psichiatrici, anche se qualcuno dice che non è così. Se non ho niente merito l’ergastolo. Ma io ho un’ossessione per Alessandra, la penso tutti i giorni, qualcosa non va". Si è anche messo a piangere e ha chiesto forse per la prima volta scusa "alla famiglia di Alessandra, ai suoi amici e alle istituzioni". Ma la Corte, presieduta da Domenico Stigliano, non si è commossa. E ha confermato l’ergastolo deciso in primo grado. Per l’omicidio pluriaggravato (da stalking, premeditazione e motivi abietti e futili) della ex compagna Alessandra Matteuzzi, la 56enne originaria di Pavullo che l’ex calciatore di 28 anni assassinò massacrandola a martellate, calci, pugni e colpi di panchina tendendole un agguato sotto casa, in via dell’Arcoveggio a Bologna.
In questa udienza d’Appello, l’avvocato difensore di Padovani, Gabriele Bordoni, ha chiesto che venissero acquisiti gli esiti della risonanza magnetica cerebrale fatta a Padovani lo scorso maggio da cui è emersa una cisti di 10 millimetri: "Bisogna approfondire per capire se all’epoca dei fatti era ’perfettamente a posto’ oppure no – chiarisce senza giri di parole –, vogliamo che si verifichi se questa condizione possa avere inciso alterandolo". L’istanza è stata respinta dalla Corte, dopo che tutte le altre parti – tra cui le quattro associazioni antiviolenza Sos Donna, Mondo donna, Casa delle Donne e Udi – si sono opposte, sostenendo come i periti del primo grado avessero già chiarito la capacità di intendere e volere dell’imputato al momento del delitto senza dubbio. La Procura generale ha dunque chiesto la conferma della pena comminata in primo grado, accusando Padovani di "fare il matto a posteriori" per cercare di ottenere dei vantaggi nel processo. L’avvocato di parte civile Petroncini ha anche chiarito che "l’atteggiamento collaborativo di Padovani è solo apparenza".
La sentenza della Corte d’Appello, dopo una camera di consiglio durata meno di un’ora, è stata accolta dalle lacrime della sorella Stefania: "È stata fatta giustizia, ringrazio questa Corte, è stato un giorno difficile. Padovani non ha avuto rispetto nemmeno oggi per mia sorella, perché non si possono dire quelle cose, che ‘vive due vite’, per sé e per lei. Mia sorella non c’è più. Chiedo solo giustizia, come è stato fatto". Anche la cugina della vittima, l’avvocato pavullese Sonia Bartolini si dice "soddisfatta della sentenza. La giustizia deve fare sentire la sua forza per evitare/prevenire nuovi casi".