"Dal pop ai grandi palchi Il mio futuro? Sogno Verdi"

di Stefano Marchetti Vent’anni fa non esisteva ’X Factor’, e ’Amici’ era soltanto agli esordi. "Altrimenti penso proprio che mi sarei iscritto a un talent, ci avrei provato. Allora cantavo le cover di Ranieri, di Cocciante e dei Queen. Sì, mi piaceva il pop", confessa Mattia Olivieri, 37 anni, di Maranello. La vita lo ha portato su un’altra strada musicale, quella della lirica, ed è stata una scelta felicissima: oggi Olivieri è uno dei baritoni più ammirati della nuova generazione e proprio in questi giorni è l’applauditissimo Figaro, ’Il Barbiere di Siviglia’, il factotum della città, sul palco del teatro alla Scala di Milano con la direzione di Riccardo Chailly. Un’assoluta consacrazione. Ma come è iniziato tutto? "Da ragazzino ero appassionato al pop e cantavo anche nel coro della chiesa. Ricordo che il parroco, don Livio, disse ai miei genitori che nel coro si ‘sentiva’ la mia voce e li consigliò di farmi studiare musica. Nel frattempo ho frequentato il ‘Venturi’ a Modena, mi sono diplomato grafico". Nessun musicista in famiglia? "Papà meccanico, mamma portalettere. Però la mamma ha sempre avuto una profonda passione per la musica e ha fatto di tutto perché io e mio fratello potessimo coltivarla. Mi sono iscritto poi al Conservatorio Martini di Bologna". E come è andata? "All’inizio non è stato facile, ero spaesato: il linguaggio della lirica era totalmente diverso da quello della musica leggera. Ma una docente pianista, Renata Nemola, ha compreso le mie qualità e mi ha preso per mano. È stata lei ad accompagnarmi la prima volta alla Scala, quando era in scena proprio il ‘Barbiere’. Una folgorazione: l’orchestra ha iniziato ad accordare e già avevo la pelle d’oca". Avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe salito proprio su quel palco? "No, ma in quel momento ho deciso che avrei veramente voluto fare questo lavoro. Da allora ho iniziato a studiare come un matto. Insieme a Renata Nemola devo dire grazie all’insegnamento del baritono Maurizio Leoni di Bologna. Loro mi hanno plasmato". Quali sono i cantanti che l’hanno ispirata di più? "Fra i baritoni, sicuramente Piero Cappuccilli: la sua linea di canto, il suo fraseggio, il suo legato sono sempre stati incredibili. Leo Nucci, poi, è da sempre un punto di riferimento: il suo Rigoletto è grandissimo". Cosa significa cantare per lei? "Per me è come una liberazione, mi fa stare bene. La voce è un dono e io cerco di donarmi agli altri. Ma è anche una responsabilità: la lirica è una professione molto meritocratica e in fondo noi cantanti siamo ‘nudi’ sul palco, perché la voce è lo strumento più sensibile". E cosa significa cantare alla Scala? "Ci sono arrivato la prima volta nel 2015 con ‘Bohème’ e già non mi sembrava vero. Adesso è il teatro in cui ho cantato di più. Certo, è un orgoglio ma anche lo stimolo a dare sempre il meglio. Un maestro come Riccardo Chailly è di grande aiuto e ispirazione: non lascia nulla al caso, coglie ogni nota, ogni dettaglio, affronta la partitura con enorme attenzione. Io imparo ogni giorno". Qual è il suo sogno? "Sognavo di poter cantare al Covent Garden e il prossimo anno debutterò a Londra nei ‘Pagliacci’ diretti dal maestro Pappano con cui presto inciderò ‘Turandot’ a Santa Cecilia a Roma. Poi sarò anche alla Staatsoper di Vienna, a Berlino, a Madrid. Fra i ruoli, spero di poter arrivare anche ai grandi personaggi verdiani, per esempio in ‘Don Carlo’ o ‘Ernani’". Intanto è anche molto attivo sui social... "Credo che sia un modo per avvicinare alla lirica anche i giovani: a volte, quando condivido un’aria o un piccolo video, alcuni mi scrivono che non avrebbero mai pensato che l’opera fosse così bella. Anche questa è una conquista". Mattia, lei come si definirebbe? "Mi ritengo una persona solare e cerco di prendere tutto con positività. Amo viaggiare, stare con gli amici, conoscere persone. La vita è bella".

"Dal pop ai grandi palchi Il mio futuro? Sogno Verdi"

Mattia Olivieri è partito dal coro della chiesa di Maranello e oggi è ’Figaro’ ne ’Il Barbiere di Siviglia’ di Chailly alla Scala: "Cantare è una liberazione"