"Così possiamo aiutare i malati di mielofibrosi"

La ricerca di Unimore è arrivata a nuove terapie per i tumori del sangue

"Così possiamo aiutare i malati di mielofibrosi"

"Così possiamo aiutare i malati di mielofibrosi"

Una nuova strategia terapeutica per riattivare la risposta immunitaria nei pazienti affetti da mielofibrosi, una neoplasia del sangue è stata messa a punto da un gruppo di ricercatrici e ricercatori del Centro Interdipartimentale di Cellule Staminali e Medicina Rigenerativa (Cidstem) di Unimore. La ricerca è stata coordinata dalla professoressa Rossella Manfredini del Dipartimento di Scienze Biomediche Metaboliche e Neuroscienze dell’ateneo. I risultati dello studio sostenuto da Fondazione Airc, sono emersi nell’ambito del programma "5 per mille" Mynerva coordinato dal professor Alessandro Vannucchi. I dati sono stati pubblicati sull’American Journal of Hematology, un’importante rivista ematologica internazionale del Gruppo Wiley.

La mielofibrosi è la forma più grave tra le neoplasie mieloproliferative croniche Philadelphia-negative. Nonostante l’introduzione di ruxolitinib, un farmaco mirato per il trattamento dei pazienti, a oggi l’unica terapia efficace è il trapianto di midollo osseo, che però presenta un alto rischio di recidiva e di decesso in questi pazienti.

I risultati ottenuti dal gruppo della Prof.ssa Manfredini (Dott. Ruggiero Norfo, Dott.ssa Lara Tavernari, Dott. Sebastiano Rontauroli) hanno mostrato che i linfociti T citotossici, cellule del sistema immunitario normalmente in grado di uccidere le cellule tumorali, perdono questa capacità nei pazienti con mielofibrosi. La funzione può tuttavia essere riattivata, in linfociti T esausti, da un farmaco già in uso nella pratica clinica per altri tumori, ma mai valutato in questi pazienti.

"Le terapie mirate attualmente disponibili per la mielofibrosi non sono in grado di contrastare l’espansione delle cellule tumorali – afferma la prof.ssa Manfredini – L’identificazione di nuove strategie risulta fondamentale per superare questi limiti e fornire ai medici una nuova arma. Per questo studio ci siamo focalizzati su un farmaco già impiegato nella pratica clinica in altri tumori per accelerare il trasferimento dei risultati dal banco di laboratorio al letto del paziente".

"I nostri risultati hanno dimostrato che i linfociti T citotossici dei pazienti affetti da mielofibrosi, rispetto ai controlli sani, presentano livelli più elevati di CTLA-4, un “checkpoint immunitario”, ovvero un interruttore molecolare che viene normalmente utilizzato per prevenire un’eccessiva risposta dei linfociti T e che viene invece sfruttato dalle cellule tumorali per eludere la sorveglianza del sistema immunitario – spiega la dottoressa Lara Tavernari – Sulla base di questi dati, ci siamo focalizzati sull’effetto dell’inibizione di questo asse immunosoppressivo".

"In laboratorio abbiamo sviluppato un sistema per studiare l’interazione fra linfociti T e cellule tumorali – spiega il Dottor Sebastiano Rontauroli – Abbiamo così scoperto che l’attivazione dei linfociti T citotossici dei pazienti con mielofibrosi è inibita dalla presenza di cellule tumorali, ma può essere ristabilita attraverso l’impiego di un anticorpo monoclonale anti-CTLA-4". "Abbiamo quindi effettuato in animali di laboratorio il trapianto di cellule di pazienti – aggiunge il Dottor Ruggiero Norfo – ed osservato che l’inibizione di CTLA-4 con anticorpi monoclonali è in grado di riattivare i linfociti T citotossici dei pazienti, promuovendo l’eliminazione delle cellule tumorali, incluse le cellule staminali tumorali, responsabili del mantenimento della malattia".