di Francesco Vecchi
L’occhio più veloce nell’avvistato la scia luminosa del meteorite emiliano è stato quello di Prisma. Non poteva essere altrimenti, perché ’Prisma’ è l’acronimo di ’Prima rete italiana per la sorveglianza sistematica di meteore e dell’atmosfera’, una realtà promossa e coordinata dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), che ha sparso telecamere lungo il Paese proprio con l’obiettivo di individuare, e raccogliere se possibile, i resti delle meteore. A lavorarci sono astronomi, informatici, geologi e matematici, tra professione e passione. Il coordinatore nazionale di Prisma è Daniele Gardiol, astronomo, appunto, dell’Osservatorio di Torino.
Gardiol, è corretto definirvi ’cacciatori di meteoriti’?
«Sì, è una definizione che può starci. Cerchiamo resti di meteore, ovvero meteoriti, perché contengono la materia primordiale. A noi interessano le informazioni preziosissime in essa racchiuse. Mi spiego: la materia terrestre, per esempio, subisce continue trasformazioni, quella primordiale è invece intoccata, è esattamente com’era quando il sistema solare si è formato. Potrebbero contenere acqua o elementi tali da aiutarci a capire anche, ma non solo, come è nata la vita sulla terra».
Da qui la vostra ricerca costante...
«Esatto, la rete di telecamere di Prisma, presente in tutta Italia, permette di tracciare sistematicamente tutte le scie e, in alcuni casi, di tentare il recupero, potenzialmente, di qualche frammento. Anche se è molto difficile. Ma trovare dei frammenti ha una altissimo valore scientifico. Il sistema solare è enorme ed esistono innumerevoli tipi di oggetti celesti. La materia primordiale si è formata in milioni, centinaia di milioni di anni. Capire come è fatta ci dà indicazioni sulla nascita del nostro sistema solare e conoscere il ’nostro’ può aiutarci ad avvicinarci, nella conoscenza, anche ad altri sistemi solari, ce ne sono a migliaia infatti».
Quanti sono i fenomeni di scie nei cieli italiani?
«Quasi tutte le notti c’è un evento, anche dieci o venti eventi a notte. La frequenza varia ovviamente, dipende dalle dimensioni degli stessi».
Di casi come quello avvenuto a Cavezzo, invece?
«Ne registriamo unodue all’anno. Sono eventi molto importanti per noi. Uno simile lo abbiamo registrato nel 2017 in Veneto, ma l’Italia è estremamente antropizzata, il recupero di frammenti è il più delle volte quasi impossibile».
Perché l’episodio modenese può definirsi più importante di altri?
«Perché secondo i nostri calcoli, conclusi solo in mattinata – ieri, ndr –, i frammenti ci sono. Le meteore normalmente vengono erose dal calore. In questo caso, al contrario, riteniamo che un pezzo da due etti possa essersi ’salvato’, non in un pezzo unico, ma in frammenti da uno a cinque centimetri l’uno».
Quando è nata la rete Prisma, ha preso spunto da altre realtà già presenti all’estero?
«È nata nel 2017 e ancora non siamo riusciti a recuperare frammenti di meteoriti. Esisteva un’esperienza simile nell’ex Cecoslovacchia. In Italia non abbiamo grandi fondi per andare avanti, collaboriamo con la Francia, la prospettiva migliore per noi sarebbe quella di avere una rete europea».
Nel caso doveste raccogliere frammenti, cosa ne fareste?
«Li analizzeremmo grazie anche a laboratori universitari, ricavando tutte le informazioni del caso. Poi esiste una società meteoritica internazionale che ha base negli Stati Uniti, dove i frammenti vengono catalogati. Successivamente possono anche essere esposti in musei, come avviene per esempio a San Giovanni in Persiceto».
Questi pezzi piovuti dal cielo possono essere pericolosi per l’uomo?
«Assolutamente no, l’unica contaminazione possibile avviene ’a rovescio’, ovvero è l’uomo, toccando un frammento, a poterlo contaminare. Per questo chiediamo a chi dovesse trovarli di non raccogliere i frammenti e semplicemente di segnalarli».