"Li conosco, certo, lavoravano con me ma io ho preso parte solo ad uno sciopero. Organizzazione criminale? Non sapevo neppure che esistesse. Sono rientrato in Italia dal Pakistan proprio perchè sapevo che mi stavano cercando". E’ quanto dichiarato venerdì, in sede di interrogatorio di garanzia da parte di uno dei membri dell’ associazione a delinquere ’AK-47 Carpi’. Parliamo dell’associazione composta da cittadini pakistani quasi tutti residenti a Carpi e dedita ad estorsioni, lesioni personali, minacce, autoriciclaggio, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. La stessa era stata sgominata a maggio scorso all’esito di un’importante operazione condotta dalla Digos di Modena, diretta dal vice questore Valeria Cesarale, insieme agli agenti del Commissariato di Carpi, diretti dal vice questore Paola Convertino, sotto la direzione della procura. Al termine delle indagini erano state emesse dal gip due distinte ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di venti giovani pakistani residenti quasi tutti a Carpi ma alcuni – tra cui il giovane pakistano in questione – risultavano irreperibili. Il ragazzo, residente a Carpi e difeso dall’avvocato Massimo Porta è rientrato in Italia lo scorso 10 agosto e attualmente è detenuto a Bologna. Nel corso dell’interrogatorio l’uomo ha sostenuto di conoscere il capo dell’organizzazione e gli altri connazionali solo perchè lavoravano insieme presso la logistica. Infatti la maggior parte degli episodi contestati si sarebbero verificati all’interno di un’azienda di spedizioni carpigiana per conto di una ditta di servizi logistici, dove la maggior parte dei soggetti, generalmente corrieri, lavorava. Secondo quanto messo in luce dagli agenti, a capo dell’associazione c’era un pakistano 30enne che si avvaleva della collaborazione di due rappresentanti sindacali aziendali, presso due importanti società di spedizioni. "Ho partecipato solo ad uno sciopero nel quale è stato impedito ad un ‘padroncino’ di entrare in ditta – ha dichiarato ancora l’indagato –. Non ho mai usato né violenza né armi". L’indagato ha intrapreso una nuova attività lavorativa come imbianchino e – in base a quanto dichiarato venerdì – non avrebbe più rapporti con i soggetti coinvolti nell’organizzazione. Il giovane è finito nell’inchiesta poiché, secondo l’accusa, in qualità di legale rappresentante di una srl, avrebbe fatto defluire sui conti dell’azienda 80mila euro legati alle attività dell’associazione. "La società era gestita dal capo – ha concluso l’indagato – io non c’entravo nulla con i ‘traffici’".
Valentina Reggiani