FRANCESCO VECCHI
Cronaca

Amanda Knox e l'omicidio di Meredith Kercher. "Io e Raffaele, per sempre colpevoli"

L'americana si commuove: "Ho ancora paura di essere accusata ingiustamente. In carcere ho pensato al suicidio, ora vorrei incontrare il pm di Perugia"

Amanda Knox ha raccontato il suo rapporto con l'Italia (Ansa)

Amanda Knox ha raccontato il suo rapporto con l'Italia (Ansa)

Modena, 15 giugno 2019 - Lacrime dal palco del forum Monzani mentre Amanda Knox ripercorre le ore e i giorni successive all'omicidio della coinquilina Meredith Kercher. Il suo allora fidanzato Raffaele Sollecito e la Knox, all'epoca dell'arresto ventenni, sono stati per 4 anni in carcere prima di essere completamente scagionati dall'accusa di omicidio. Un periodo durante il quale - racconta - "ho meditato sul suicidio", "Un grave errore, una conclusione frettolosa e infondata, basata su un'inchiesta contaminata", definisce Amanda (FOTOla sua vicenda parlando in un buon italiano. dopo avere ringraziato, commossa (video)le persone che l'hanno invitata a Modena. 

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"L'Italia è diventata parte di me, nonostante la tragedia che ho vissuto, sono tornata perché lo dovevo fare - spiega -. Perché sono stata invitata e una volta questo Paese per me era una casa e un giorno spero di sentirlo di nuovo così. Tanta gente pensa che io sia pazza a venire qui, mi hanno detto che sarò attaccata e che sarò falsamente accusata e rimandata in prigione. E che venire qui anche se sarò incolume non sarà servito a nulla. Oggi ho paura di essere molestata e derisa e incastrata e ho paura che nuove accuse mi saranno rivolte. Molti pensano che la mia presenza qui possa profanare la memoria di Meredith. Si sbagliano, ma io continuo ad essere ritenuta responsabile e questo dimostra quanto siano potenti le narrazione false, quando amplificate dai media".

E poi ripercorre quelle giornate a Perugia, subito dopo l'omicidio di Meredith: "Il primo novembre 2007, un ladro di nome Rudi Guede è entrato nel mio appartamento e ha violentato e ucciso Merredith. Ha lasciato tracce di dna, poi è fuggito dal Paese, processato è stato infine condannato. Nonostante ciò un grande numero di persone non ha mai sentito il suo nome, questo perché pm, polizia e giornalisti si sono concentrati su di me. I giornalisti chiedevano di arrestare un colpevole. Hanno indagato me mentre Guede fuggiva. Non basandosi su prove o testimonianze".

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E punta il dito contro la pressione mediatica: "A causa dell'intervento dei media l'inchiesta è stata contaminata. Era impossibile avere per me un processo giusto. L'opinione pubblica non deve rispondere a nessuno, non ci sono regole se non che il sensazionalismo vince: nella Corte dell'opinione pubblica non sei una persona umana, sei un oggetto da consumare". E ancora: "Sul palcoscenico mondiale io ero una furba, psicopatica e drogata, puttana. Colpevole. E' stata creata una storia falsa e infondata, che ha scatenato le fantasie della gente". Il conto con i media non è ancora chiuso: "Sono grata alla Corte di Cassazione e agli altri giudici per avermi rivendicata; la Corte Europea mi ha rivendicato oltre - assicura - ma tutto questo non assolve lo Stato per avermi condannato per 8 lunghi anni". Inoltre, "non assolvo i media che hanno raccolto un immenso profitto" da questa storia e "anche oggi trattano la mia vita come contenuto per i loro introiti. Non mi basta che la mia vicenda si sia conclusa bene, abbiamo bisogno di fare bene prima".

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Poi l'appello al suo grande accusatore, l'allora pm di Perugia, Giuliano Minnini: "Vorrei avere  un faccia a faccia con lui, al di fuori dalle aule, al di fuori del ruolo di buono e di cattiva. Ho sempre pensato che fosse questa contrapposizione che rendeva impossibile la comprensione”. Amanda Knox ha spigato: “Per me a  vent’anni quel pm era come un mostro con un solo obiettivo, distruggere la mia vita. So che questa immagine di lui è sbagliata. Sono stati i media ad aiutarmi a rendermene conto. Nel documentario di Netflix non ho visto un cattivo, non un mostro, ma un uomo con motivazioni nobili, che voleva rendere giustizia a una famiglia in lutto. Un giorno mi piacerebbe incontrare Minnini - ribadisce - e spero che, se ciò accadrà, anche lui riesca a vedere che anche io non sono un mostro, ma semplicemente Amanda”.

Con Raffaele Sollecito "siamo stati marchiati dai titoli dei giornali, per sempre colpevoli. Io sarò sempre legata alla tragedia della morte della mia amica. Vengo insultata ogni volta che parlo della sua morte. Come se il fatto di essere viva fosse un affronto a Meredith", è l'amara considerazione. "A vent'anni ero una ragazza felice e vivace e sono stata costretta a trascorrere da sola i miei primi anni venti, imprigionata in un ambiente disumano, malsano e imprevedibile. Invece di sognare una carriera o una famiglia, ho meditato - assicura - sul suicidio. Tutti i membri della mia famiglia hanno sconvolto le loro vite a seguito di questa vicenda".

Questa la verità di Amanda che parla in Italia (FOTOper la prima volta dopo la chiusura, con assoluzione, del caso giudiziario sull’omicidio di Meredith, avvenuto a Perugia nel 2007. La trentunenne statunitense, che nei primi due giorni dell’evento è stata spettatrice silente delle conferenze in programma (FOTO), è entrata da un ingresso secondario per evitare le decine di fotografi e operatori da tutto il mondo che la stavano attendendo. E' salita sul palco, capelli sciolti e smanicato rosa e si è seduta tra i relatori. Partecipa a un confronto sul tema del ‘Processo penale mediatico’, che sarà aperto dall’avvocato Guido Sola e vedrà la partecipazione di Andrea Mascherin, Vinicio Nardo e Martina Cagossi.

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E così, finalmente, l'americana dirà la sua su quel processo sempre al centro dell'interesse dei media che vide protagonisti (negativi) lei e il suo fidanzato dell'epoca, Raffaele Sollecito, entrambi completamente scagionati da ogni accusa dalla sentenza di Cassazione del 2015. Ora Amanda ha un nuovo fidanzato Christopher Robinson che è sempre al suo fianco in questa nuova avventura italiana. E che ieri ha avuto uno scatto d'ira (video) contro i fotografi e gli operatori che li stavano riprendendo mentre seguivano i lavori del convegno dalla platea. Poi si era commossa ascoltando la testimonianza di Peter Pringle, irlandese, che ha trascorso 14 anni nel braccio della morte prima di essere proclamato innocente.