Modena, 12 novembre 2024 – Era il suo insegnante di danza, di lui si fidava. Quella sera d’estate del 2019 lo invitò ad un incontro all’interno della scuola di ballo (situata in un comune della provincia), raccomandandogli di non parlarne a nessuno. “Ci sono anche i tuoi amici” affermò mentendo. Lui, nell’ingenuità dei suoi 14 anni, accettò l’invito, pensando che il maestro li avesse convocati per parlare loro di gare. Nell’attesa che arrivassero gli altri, però, il maestro lo incitò a bere e a bere ancora fino a farlo ubriacare. Non c’era nessun altro invitato in realtà e, poco dopo, il maestro abusò di lui.
La Cassazione, lo scorso ottobre ha confermato la condanna a un anno e otto mesi di carcere in abbreviato per l’imputato: un 39enne residente in provincia (omettiamo il comune a maggior tutela del minore coinvolto). Il caso era noto alle cronache: a denunciare il maestro di ballo per violenza sessuale su minore era stata la mamma della vittima, un 14enne all’epoca dei fatti, dopo che il figlio fu trovato dagli amici accovacciato in strada e stordito dall’alcol. Dal racconto dell’allievo sotto choc era poi venuta a galla l’agghiacciante verità. In primo grado l’insegnante – ben noto nel paese dove sono avvenuti i fatti, poiché organizzatore anche di coreografie per svariati eventi e non solo – era stato assolto.
La sentenza è stata poi ribaltata in Appello, con conseguente condanna e confermata di recente in Cassazione. I giudici in Appello hanno sottolineato infatti come il minore in aula abbia confermato senza indugio le molestie, raccontando che il maestro ‘allungò le mani’ dopo averlo fatto bere. “La sentenza è stata impugnata (dall’imputato, ndr) con motivazione illogica e non aderente alle risultanze probatorie” afferma la Corte. “L’imputato, quale insegnante di danza è dunque responsabile, oltre ogni ragionevole dubbio, del reato di violenza sessuale in danno della vittima, peraltro già in condizioni di ridotte capacità a causa dell’assunzione di alcolici cui lo aveva indotto”. Da qui la condanna a un anno e otto mesi di reclusione (concesse le attenuanti), con sospensione condizionale della pena per il 39enne, subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero entro un anno e la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile.
L’imputato – che era incensurato – è stato condannato anche alle pene accessorie dell’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e curatela e amministrazione di sostegno e da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio e servizio in istituzioni o altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Eppure – fa presente la mamma della vittima – questa persona sta continuando a lavorare con minori. “In questi anni ha continuato a restare nelle associazioni di volontariato, a organizzare eventi per le vittime di femminicidio – sottolinea adirata la donna –. Mio figlio ha voluto denunciare affinchè ciò che ha subito non capitasse ad altri. Eppure questa persona non è mai stata fermata anzi: senza alcun pudore pubblicizza le sue attività sui social. Sono docente e pure a scuola arrivano proposte di progetti a suo nome: che messaggio stiamo lanciando? Per noi, come famiglia e soprattutto per mio figlio questa situazione è un supplizio. Quella notte, dopo averlo molestato, gli prese il telefono e cancellò tutte le chat. Mio figlio è stato raccolto in un fosso: abbiamo atteso cinque anni per avere giustizia ma la giustizia non esiste. E’ scritta solo in un foglio di carta”.
“Le pene accessorie sono sospese fino a che il mio assistito non effettua il corso – sottolinea il legale dell’imputato – Ha un anno di tempo”. L’avvocato della parte offesa, Annalisa Tironi afferma: “Credo dovesse valere il rispetto della pena accessoria dal momento della sentenza passata in giudicato. Abbiamo lottato per raggiungere questo risultato, dopo che inizialmente l’imputato era stato assolto. Posso comprendere lo sconforto della mia assistita e la richiesta che le sentenze vengano fatte rispettare”.