STEFANO MARCHETTI
Cronaca

Al Comunale Otello e la gelosia che uccide. Il capolavoro di Verdi con un cast stellare

In scena domani sera e domenica alle 15.30. A interpretare Jago il baritono Luca Micheletti: "Un personaggio crudele nella sua doppiezza"

Al Comunale Otello e la gelosia che uccide. Il capolavoro di Verdi con un cast stellare

Subdolo, sfuggente, perfido col sorriso, Jago è un personaggio chiave dell’ ’Otello’, sia nella tragedia di Shakespeare che nell’opera di Verdi, con il libretto di Arrigo Boito. È lui che sparge il seme del dubbio e scatena la gelosia dell’odiato moro. In questa produzione Jago ha il volto e la voce dell’ammiratissimo baritono Luca Micheletti, un artista pressoché unico nella scena contemporanea: ‘nato’ come attore di prosa, si è perfezionato anche come regista per poi scoprire e maturare il suo talento di cantante, consacrato dal maestro Riccardo Muti che lo ha voluto anche fra i protagonisti del suo galà verdiano prenatalizio a Ravenna e a Busseto. Prosa, regia, lirica: un percorso artistico non esclude l’altro, anzi lo nutre ancor meglio.

’Otello’ per lei ha un significato speciale...

"Sì, provo un forte legame affettivo verso quest’opera. Nel 2018 Cristina Mazzavillani Muti mi invitò a interpretare Jago al Ravenna Festival e quello fu il mio primo exploit significativo nel mondo della lirica: da lì è partito a tutti gli effetti il mio percorso di cantante".

Per calarsi nel ruolo di Jago, occorre una speciale qualità attoriale?

"Questo è vero per molti ruoli dell’opera, ma per Jago in particolare. Nella partitura di Verdi emerge una scrittura musicale quasi sperimentale che per Jago offre già un’idea di interpretazione: una scrittura ‘parlante’, intessuta di mezze voci. Verdi stesso in una lettera scriveva che Jago avrebbe dovuto sussurrare, ancor più che cantare". Verdi era molto attento alla riuscita teatrale delle sue opere?

"Era un uomo di teatro e ha vissuto sempre in palcoscenico. Alcuni aneddoti ci raccontano che, durante le prove di Otello, egli stesso salì in palcoscenico per mostrare al tenore Francesco Tamagno come dovesse morire in scena. Paradossalmente questa attenzione al gesto teatrale non semplifica ma complica tutto, perché mentre si canta occorre restituire un’interpretazione attoriale precisa e puntuale".

Come ha costruito il ‘suo’ Jago?

"Giuseppe Verdi diceva che Jago deve essere incredibilmente plausibile, una persona franca nel tratto e nei modi: non deve mostrarsi cattivo, altrimenti non riuscirebbe a ingannare. Insomma, Jago non è Mefistofele, anche se vari interpreti si sono compiaciuti nel proporlo con modi da cattivo. Questo ‘mio’ Jago, pensato insieme al regista, è un giovane militare tutto di un pezzo, credibile, all’apparenza affidabile: emerge ancora più crudele la sua doppiezza".

La regia ambienta tutta la vicenda al tempo di Verdi...

"E trasforma tutta la storia, il femminicidio e quanto vi ruota intorno, in un dramma borghese dove i rapporti sembrano molto salottieri, come in una commedia di Ibsen. Tutto in punta di forchetta".

Lei ritorna a Modena come cantante al teatro Comunale. Ma a lungo ha calcato le scene dello Storchi, insieme a Ert. Che ricordi conserva?

"Sono stati tempi bellissimi e sono molto legato ad alcuni spettacoli, come ‘La resistibile ascesa di Arturo Ui’ che ha consolidato anche il mio rapporto con Umberto Orsini che ho ritrovato di recente per ‘Le memorie di Ivan Karamazov’. Ert e il Centro teatrale bresciano hanno anche prodotto ‘Le metamorfosi’ di Kafka con la mia regia, una tappa che reputo molto importante nella mia carriera. A Modena, con Pietro Valenti e Claudio Longhi, ho vissuto esperienze indimenticabili".

Si definisce ‘un attore che canta’...

"In fondo ogni cantante dovrebbe esserlo. È pur vero che, al di là delle specificità della prosa e della lirica, sia chi recita che chi canta sta sul palcoscenico, quindi l’approccio e l’impegno sono simili. Devono esserlo".

I suoi prossimi impegni?

"In febbraio ritroverò Riccardo Muti al Regio di Torino per ‘Un ballo in maschera’, ancora di Verdi. Poi tornerò alla prosa con l’Aiace di Sofocle al teatro Greco di Siracusa".

Faticoso passare da un ‘mondo’ all’altro?

"A volte. Però per me assolutamente necessario".