Modena, 9 febbraio 2024 – 38g 62v pq2 e poi simboli strani, schiribizzi, geroglifici... Il mistero del codice vergato attorno al 1860 da Pietro Celestino Giannone, poeta e patriota risorgimentale (originario di Camposanto), ha resistito per un secolo e mezzo. "All’inizio pensavamo si trattasse di un testo legato alla Carboneria di cui egli aveva fatto parte, magari un messaggio rivolto alla società segreta", ammette Francesca Piccinini, direttrice del Museo Civico dove il fascicolo di ottanta fogli in pergamena è entrato già nel 1894, dono di Giuseppe Silingardi.
Finché... "Una decina d’anni fa un amico mi ha inviato una copia di queste pagine e ho impiegato due settimane per scoprire il meccanismo del codice con cui era stato compilato – sorride il matematico Paolo Bonavoglia, esperto decrittatore (suo nonno Luigi Sacco fu il guru della crittografia durante la Grande Guerra) –. Quando poi sono riuscito a tradurre la prima frase, ‘Poi presi in mano un bianco pannolino...’, ho capito che quel testo non era proprio di argomento politico, come tutti lo immaginavano".
Dietro le parole misteriose del codice Giannone, infatti, si è scoperto nientemeno che un poema erotico, dai toni molto ma molto hot, "un testo ancora più licenzioso e scabroso di quelli dell’Aretino, di Boccaccio o di certa letteratura del ’700", fa notare il professor Gian Mario Anselmi dell’università di Bologna.
Ora tutta la storia di questo "Enigma proibito" è divenuta un’intrigante e divertente mostra interattiva, aperta fino al 23 giugno nelle sale rinnovate del Museo Civico, a cura di Stefano Bulgarelli e Cristina Stefani, con Elena Grazia Fé per i servizi educativi. L’esposizione (che era stata già pensata per il Festival Filosofia dedicato alla parola) ci conduce negli affascinanti meandri della crittografia, l’arte di nascondere messaggi dietro parole o segni diversi, un metodo utilizzato già dai tempi di Cesare e perfino da Lucrezia Borgia o Maria Stuarda, e che ancora oggi adottiamo – pur senza accorgercene –, per esempio quando effettuiamo un prelievo al Bancomat con il codice pin.
Una volta decifrati, i segni grafici, gli strani gruppi di lettere e i bizzarri scarabocchi che Giannone aveva portato sulle pagine hanno rivelato un poema in rima, dai perfetti endecasillabi, che non lasciava nulla all’immaginazione. "Può essere interpretato anche come uno sberleffo dell’autore al vento di restaurazione che soffiava nei suoi anni, o magari come un poema puramente goliardico", aggiunge il professor Anselmi.
La mostra ce lo propone con un doppio percorso: uno dedicato agli adulti che termina in una stanza segreta (vietata ai minori) dove sullo schermo scorre senza veli il testo completo del poema, e l’altro rivolto invece ai ragazzi che – come in una caccia al tesoro – possono divertirsi a trovare nelle sale alcuni indizi nascosti per decifrare una parola misteriosa da comporre sul lucchetto di un’altra stanza segreta, assolutamente castissima, con un regalo tutto per loro. "È una mostra che, con le sue applicazioni digitali, tiene insieme passato, presente e futuro", fa notare l’assessore alla cultura Andrea Bortolamasi.
Nel ritratto appeso alla parete, Pietro Giannone ha lo sguardo quasi sconsolato, come a dire "Eh, mi avete scoperto". E la direttrice Piccinini ride: "È stato geniale. Ci ha preso in giro tutti per un secolo e mezzo".