Ancona, 15 aprile 2023 – C’era una volta il marchigiano tipo, quello evocato da film come ‘Straziami ma di baci saziami’ e ‘Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?’ Solitamente maceratese. Come Silvio Spaccesi, attore e doppiatore. Una specie di villico un po’ sfigato, nel migliore dei casi col cervello fino, dalla parlata inconfondibile (anche se in realtà ha molto in comune con la Ciociaria e dintorni). Poi è venuto Neri Marcorè, con il suo aplomb quasi anglosassone, da tempo ‘il’ marchigiano per antonomasia. Caso vuole che l’unico a contendergli il titolo sia un corregionale dai modi pacati che non disdegna le raffinatezze (a cominciare dagli abiti), lo jesino Roberto Mancini. Entrambi testimonial di un territorio ancora sottovalutato, ma che entrambi hanno contribuito a far conoscere.
Marcorè, come ci si sente nei panni del simbolo della marchigianità a livello nazionale?
"La cosa mi sembra naturale. Sono nato e cresciuto nelle Marche, e sono sempre stato legatissimo alla mia terra, anche se da molti anni vivo a Roma per motivi di lavoro. Che io sia o no il testimonial ufficiale della regione, non cambia nulla in questo senso".
Viene in mente Risorgimarche, evento che lei ha organizzato per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto.
"È qualcosa che ho pensato come atto d’amore per la mia terra. Lo stesso vale per un concerto che ho fatto a Senigallia a favore degli alluvionati. C’era da fare qualcosa di tangibile per le comunità vittime del terremoto. Erano persone che ci dicevano: non dimenticatevi di noi. Delle Marche si parlava poco, nonostante i due terzi dei danni li abbiamo avuti noi. Ricordo il concerto di Jovanotti, il più eclatante, ma per me conta anche un concerto di fronte a tremila persone".
Lei è anche testimonial della Lega del Filo d’Oro di Osimo. A proposito di persone in difficoltà che non devono essere dimenticate...
"Me lo aveva chiesto una decina di anni fa Renzo Arbore. Da allora sostengo questa realtà valente, importante".
E le Marche lo sono, una realtà importante, o restano ancora un po’ nell’ombra?
"Dicono che la regione non si è sviluppata come altre. Per me questo fatto è una virtù. Altri territori sono stati massacrati dalla cementificazione. Le Marche sono tranquille, hanno un passo lento ma inesorabile. Chi le visita per la prima volta, in ogni caso, ne viene conquistato".
Molti anni fa il testimonial era Dustin Hoffman che recitava Leopardi. Molti storsero il naso.
"Quell’operazione non era sbagliata. Hoffman è un attore conosciuto in tutto il mondo. Certo, non ci si può fingere marchigiani".
Quali sono i suoi luoghi del cuore nella regione?
"Ne ho molti, a partire da Porto Sant’Elpidio, dove sono nato. C’è pure Ancona, dove ho studiato per cinque anni. Facevo il liceo linguistico. Amo molto l’entroterra, i borghi storici".
Cosa c’è in vista dopo "La Buona Novella"?
"In autunno uscirà il mio primo film da regista. Prima dell’estate farò qualche concerto in giro per l’Italia".
Il regista a cui è più legato?
"Pupi Avati. Con ‘Il cuore altrove’ mi ha dato una bella carta da giocare, mi ha fatto un bel regalo. Gli sono molto grato. Fino ad allora al cinema avevo fatto poche cose".
Ma dopo i molti film fatti, gli spettacoli teatrali, i concerti, prova ancora un brivido, un timore prima di entrare in scena?
"Beh, spesso affiora il pensiero: ma chi me l’ha fatto fare? Io non sono scaramantico, e non ho riti particolari. Ogni volta che il sipario sta per alzarsi, però, penso sempre a mio padre. È un modo per tenerlo vicino a me nel pensiero. È qualcosa che viene da sé".
Possiamo dire che, non da oggi, ha la fortuna di potere dedicarsi solo a progetti che reputa interessanti e che le stanno a cuore?
"Sì, ho la fortuna di poter scegliere cosa fare. Ho anche coltivato una ‘diversificazione’ che mi permette di avere più opzioni".
Senta, ma il vero marchigiano è quello dello stereotipo di cui sopra?
"Diciamo che lo stereotipo è radicato nella realtà. A cominciare dal dialetto. Io non ho puntato su quello. Volevo essere almeno ‘nazionale’".