Bologna, 13 gennaio 2025 – L’acronimo è Ac/Av, alta capacità e alta velocità. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Perché per allineare la Bologna-Lecce (il cosiddetto Corridoio Adriatico) agli standard delle linee Core Ten-T – le direttrici strategiche della rete transeuropea dei trasporti, messe nero su bianco dall’Unione europea – serviranno a spanne non meno di vent’anni e almeno 80 miliardi a stare stretti, secondo calcoli che si fanno dalle parti di Rfi e Regioni. Sono più di ottocento chilometri di binari dall’Emilia-Romagna fino alla Puglia, tra Ancona e Lecce si viaggia su una linea progettata e posata per la prima volta con i vagiti dello Stato unitario (1862, il presidente del Consiglio era Urbano Rattazzi), quando i treni andavano ancora a vapore, e solo nell’agosto del 2023 sono partiti i lavori per il raddoppio del mitologico “imbuto” Termoli-Lesina, a cavallo tra il Molise e la Puglia – bloccati per anni dai nidi di un uccellino, il fratino –, dove il tempo s’è addirittura fermato al binario unico.
L’impresa è titanica, a maggior ragione in un Paese nel quale ci vogliono anni e quintali di scartoffie anche solo per spostare una panchina, specie se si considera che da qui dovranno correre treni passeggeri fino ai 300 chilometri all’ora e transitare convogli merci al ritmo di 176 al giorno, uno ogni otto minuti, direzione i porti di Taranto e Gioia Tauro, e viceversa.
Ma da qualche parte bisognerà pur cominciare, e in fretta. Lo consiglia l’effetto valanga sulle linee scatenato l’altro giorno dal guasto di Milano. Primo ingorgo sull’Adriatica a Pescara, dove il Frecciarossa delle 12.44 da Bologna per Bari, ad esempio, era atteso con un’ora e mezzo di ritardo. Intanto in programma c’è il quadruplicamento della linea tra Bologna e Castel Bolognese, per il quale sono pronti tre miliardi e mezzo. Regione e sindaci hanno già in mano il Documento di fattibilità delle alternative progettuali (DocFap) prodotto da Rfi, ma ancora non tutti sono d’accordo sui tracciati e ci si prepara a un confronto (serrato) con le Ferrovie e il ministero delle infrastrutture. Poi ecco la nuova fermata di Foggia, il passante di Bari e il raccordo con l’altra linea Av/Ac, quella diretta a Napoli, e in mezzo tutta la grande partita dell’alta velocità tra Marche e Abruzzo. Qui Rfi dovrebbe presentare il Documento di fattibilità entro giugno, ma sul tavolo della Regione Marche è già arrivato un piano di massima per la realizzazione – a stralci – di una nuova linea per gran parte in galleria e in arretramento rispetto a quella attuale (tra 5 e 7 chilometri), che la Regione ha chiesto invece di riqualificare a metropolitana di superficie da destinare al trasporto locale, cioè ai treni dei pendolari, che altrimenti finirebbero soffocati nel viavai a getto continuo dei convogli sull’alta velocità. Archiviata l’ipotesi dei bypass ferroviari (in primis quello di Pesaro), il costo stimato per il tratto marchigiano supera abbondantemente i 20 miliardi di euro, mettendo nel conto anche la spesa per costruire le cosiddette “stazioni incrocianti”: oltre all’hub centrale di Ancona, quelle di Pesaro e San Benedetto, sempre secondo i desiderata della Regione, che vorrebbe anche il primo stralcio di lavori tra Rimini, in Romagna, e il capoluogo Ancona.
Ma c’è anche un’altra variabile sotto traccia sull’asse tra Ancona e Roma. Leggasi l’ipotesi della nomina da parte del governo di un commissario straordinario ad hoc. Sulla sponda adriatica dell’alta velocità dovrebbe occuparsi di fare marciare un’impresa titanica con costi accettabili e soprattutto in tempi almeno ragionevoli, considerata la previsione dei vent’anni. Altrimenti rischiano di non vederla neanche nel prossimo secolo.