
Sergio Minuti, 94 anni, nel suo studio (foto Pierpaolo Calavita)
Qual è il ricordo degli anni da studente alla scuola d’arte?
"La tristezza perché non avevamo niente. Eravamo usciti dalla guerra e non c’erano carta, pennelli, colori. A scuola ci insegnavano a fare i colori mettendo su ripiani di marmo la terra di vari colori da mescolare di continuo per farla diventare finissima. In quel periodo ho avuto la fortuna di avere il professor Ciarlantini, Diamantini era il preside, che ci ha insegnato a disegnare, a colorare e ci ha spinto a leggere".
In quegli anni avrà disegnato tanto.
"Prendevo la carta dei pacchi e unendola avevo dei mega fogli di disegno lunghi tre metri. Con il carboncino ho effettivamente disegnato tantissimo ispirandomi alle figure michelangiolesche. Poi i compagni mi dicevano che i docenti assieme agli studenti venivano a vedere a mia insaputa cosa avevo realizzato".

Qual è stato il suo primo lavoro?
"Nell’immediato dopoguerra ho realizzato un disegno per partecipare a un concorso indetto dalla Mondadori per nuovi disegnatori. Ma quando era il momento di spedirlo ci ho ripensato temendo che potessero gettarlo nel cestino, così l’ho tenuto fino a oggi".
Si è pentito di non averlo spedito?
"No. Era una selezione aperta a tutti e ci saranno stati mille concorrenti".
Quanti cartoni animati ha prodotto?
"Tanti. Il primo per l’associazione delle Casse di risparmio italiane dal titolo ‘Cleto testarossa e i tre chicchi di grano’ della durata di 21 minuti in cui rivedo a modo mio la storia della cicala e della formica".
Questo cartone, che lei realizzò da solo nel 1968, era composto da trentamila fotogrammi. Quanto tempo impiegò per realizzarlo?
"Un anno".
Nel 1970 fondò la società Urbs film produzioni. Come nacque l’idea?
"Mi venne proposta l’organizzazione di un laboratorio per film a disegni animati".
Qual è stato il primo lavoro portato a termine?
"La mini favola Leoniglio (8 minuti), un cucciolo di leone allevato da una famiglia di conigli. Questo cartone animato venne utilizzato dalla Rai come scambio commerciale con altre televisioni. Poi sono stati fatti i cartoni per le sigle televisive dei programmi riservati ai ragazzi".
E il personale?
"Sono andato in giro chiedendo ai giovani se erano bravi a disegnare e poi li ho formati, ed ecco i coloristi, gli scompositori, lo scenografo e così via".
Qual è la sua creazione di cui è orgoglioso?
"“Il trenino nel pianeta favola“. Un qualcosa di meraviglioso frutto della fantasia dopo che un mago lancia il suo volere su un contenitore e come per magia esce il contenuto che si assembla alla perfezione diventando un trenino che dà la possibilità di toccare tanti altri temi".
La sua creatività è stata messa a servizio di aziende dolciarie, di giocattoli, di scarpe.
"A Sforzacosta c’era l’azienda Jolly Biscotti e per loro realizzai anche un contenitore del panettone con tanti personaggi del presepio in rilievo che potevano essere staccate. Questa idea fu premiata con l’oscar dell’imballaggio nel 1969 e fu apprezzata anche da Papa Paolo VI".
Lei ha insegnato all’Accademia e nella casa di produzione di Urbisaglia c’erano tanti giovani: qual è stato il consiglio per chi iniziava a entrare nel mondo dell’illustrazione?
"Ho insegnato per 25 anni tenendo la cattedra di Tecnica dell’animazione, l’unica in Italia. Con tutti mi sono raccomandato di frequentare solo nel caso in cui avessero provato divertimento, altrimenti avrebbero perso tempo".
Cosa c’è dietro il divertimento?
"Quando ci si diverte si crea, si lavora, si costruisce".
Cosa si è perso con la tecnologia rispetto a quando c’erano solo matita e gomma?
"Non mi accontento mai di quello che faccio e cerco sempre di migliorare, ed ecco che la gomma è per me imprescindibile perché cancello alcune parti per perfezionare il disegno".
Allora niente computer?
"Lo uso per ingrandire e ritagliare, ma per disegnare non rinuncio alla matita e alla gomma".