di Lucia Gentili
"Io ne voglio parlare". Da qui parte "Viva Falcone. Capaci trent’anni dopo" con Antonio Lovascio, attore e regista, spettacolo in scena stasera, alle 21.30, nella sala polifunzionale (ex cinema) di Penna San Giovanni, per la seconda edizione del Festival Storie. Da una storia autobiografica, il monologo passa attraverso il racconto di Salvatore San Filippo, eteronimo di Lovascio. Narra il viaggio in Sicilia, con ironia, attraverso azioni e ricordi che lo porteranno a trasformarsi continuamente. Con lui si attraversa la processione dei Cassari e si approda alla strage di Capaci, "per concludere senza concludere il viaggio, lasciando aperto ogni dialogo, ogni confronto sulla Sicilia, sulla vita". Nel 2016 Lovascio, con "Viva Falcone", ha vinto il premio nazionale di drammaturgia "Riviera dei monologhi". Info e prenotazioni Magliano di Tenna, ricevitoria tabaccheria b&b (0734.632800) e Servigliano, Marche Eventi (0734.710026) o su WhatsApp al 339.3706029. Lovascio, come nasce lo spettacolo?
"Da un’esigenza personale. Mia madre è siciliana e da bambino ho respirato la Sicilia in chiave ludica, divertente, affascinante, tra storie, colori, sapori e leggende. Crescendo, però, oltre alla bellezza e al folclore, ho scoperto un’ombra che va conosciuta. Quando a 15 anni al telegiornale ho sentito la notizia della strage di Capaci, con la morte di un magistrato "che stava cercando di fare del bene", ho percepito un disagio dentro, come un filo che si era spezzato. Ricordo che a scuola feci anche una tesina su questo, sebbene l’insegnante mi disse che non era stata richiesta. Questa spinta mi è rimasta dentro insieme alla necessità di parlarne. Chi furono i veri mandanti? Possiamo vivere sereni con questa incoscienza? Ne voglio parlare, sento il dovere di farlo, e in questi anni ho girato l’Italia da nord a sud, in rassegne, festival, scuole, arrivando fino in Germania. Il Covid ha un po’ spezzato le gambe al nostro settore, ma sto rimettendomi in piedi, bisogna fare rete". Mafia e fascinazione criminale. Non è pericoloso?
"In realtà il problema è a monte. Il magistrato Nicola Gratteri ha detto che se lo Stato lo volesse realmente, la mafia finirebbe in pochi mesi. Ma è necessario anche un risveglio delle coscienze. Dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, la gente scese nelle piazze. Poi tutto è rientrato nella "normalità": adesso la mafia non vuole il chiasso, non vuole uccidere, né attirare l’attenzione, per potere fare così dei traffici sottobanco, in silenzio. Serve un risveglio delle coscienze, bisogna confrontarsi. Il teatro non dà delle risposte, ma genera le domande e i confronti". Come si esce dallo spettacolo?
"Ognuno con sue riflessioni. Il sottotitolo del mio libro è "Lazzi di un giullare siciliano", e "lazzi", apparentemente un ossimoro, suscita curiosità. Forse non si è mai sentito parlare di mafia in questi toni, non è quello che la gente si aspetta. Sorprende".