
di Lucia Gentili
"Il mio sogno è di rivedere la linotype in funzione e di farla conoscere alla gente, in particolare ai ragazzi". A pronunciare queste parole, commosso per la nostalgia, è il tolentinate 70enne Ennio Gullini, uno degli ultimi linotipisti d’Italia, in pensione dal 2006. Per quasi mezzo secolo ha lavorato con "l’ottava meraviglia del mondo", come la definì Thomas Edison: la linotype, appunto, la rivoluzionaria macchina per la composizione tipografica meccanica, inventata negli Stati Uniti dal tecnico tedesco Ottmar Mergenthaler nel 1881. Nel 1964, Ennio (oggi nonno di due nipoti) frequentò un corso da linotipista a Macerata, per sei mesi; così, quando l’anno successivo la Tipografia Filelfo (poi Grafica Mari), dove era impiegato, la acquistò dal quotidiano "Il Tempo", lui era pronto. E nel 1976 la portò con sé, quando insieme al socio Wolfango Del Pupo si sganciò per aprire un’attività in proprio, che battezzarono non a caso Linotype. Operava per tutte le tipografie della provincia. Giornali, libri, riviste, cataloghi, depliant, schede elettorali: insomma, i pensieri di decenni sono stati fusi sotto le loro mani. Ora la tipografia è portata avanti dal figlio di Wolfango, Gionata. Ma la linotype, che con l’avvento del computer ha perso la sua modernità ma di sicuro non il suo fascino, si trova in un deposito comunale. "L’abbiamo regalata al Comune con la promessa che diventasse parte di un museo", spiega Ennio. L’ultima uscita pubblica della meraviglia risale all’Expo del 2012: in quell’occasione troneggiava su un red carpet all’ingresso di palazzo Parisani-Bezzi, affiancata dalla più discreta pedalina. Poi ecco il sisma e il Covid.
Ennio Gullini, perché la sua linotype dovrebbe tornare a essere ammirata?
"Perché è storia. Prima dell’invenzione di questa macchina, ad esempio, nessun giornale aveva più di otto pagine, a causa dei lunghi tempi richiesti dalla composizione manuale. Iniziai a lavorare a 15 anni, servivano concentrazione e pazienza, il funzionamento della linotype era complicato (basti pensare che all’Expo erano venuti a studiare i suoi meccanismi diversi ingegneri). Mi ha accompagnato per quasi cinquant’anni e ne sento la mancanza. So che è al sicuro. Ma sarebbe bello rivederla esposta in un museo insieme ad altre attrezzature di tipografia. E speriamo accada presto". Quali ricordi porta con sé la macchina?
"Nei mesi di formazione nelle testate dei quotidiani trascorrevo nottate intere: ricordo le macchine in fila con i meccanici per la stampa. Quando penso al periodo della Grafica Mari, mi vengono in mente i finanzieri che dormivano in tipografia per monitorare l’uscita delle schede elettorali. Insieme a Wolfango, poi, componevamo periodici, depliant, i primi cataloghi a colori della Biennale dell’umorismo di Tolentino. In particolare ricordo L’Aurora di Camerino, periodico sulla ricerca scientifica dei fenomeni supernormali: ero giovane e quando battevo i caratteri mi suggestionavo. Uno degli ultimi libri stampati invece è stato Centenario romano, nel 1970, per celebrare un secolo dalla presa di Roma, la Breccia di Porta Pia. Tra gli ultimi lavori della linotype c’è la personalizzazione delle agende con i nomi in oro della Nazareno Gabrielli e poi di altre pelletterie storiche".
Come funzionava?
"È costituita da una tastiera letterale su cui il linotipista compone le parole comandando per ogni singolo tasto una leva che libera la corrispondente matrice; le matrici vanno a disporsi nel compositoio fino al completamento della riga. Da un crogiolo, è immesso il metallo a 285° gradi, che fonde tutta intera la riga. L’avvento della linotype ha ridotto notevolmente i tempi di stampa, aspetto importante per l’industria dei giornali. Oggi ha perso il trono con l’era digitale, ma per me resta la compagna di una vita. E vorrei farne conoscere la bellezza anche ai giovani".