Macerata, 9 dicembre 2019 - «Mio figlio è stato ucciso, ma dopo dodici anni né io né suo figlio abbiamo avuto un euro di risarcimento. Neppure la sua auto mi è stata restituita e io non so davvero più a chi appellarmi». Giancarlo Mozzoni non trova più neppure le parole per raccontare la sua storia assurda, sulla quale in troppi sembrano essere stati sordi.
La vicenda inizia a gennaio del 2007, quando il figlio Roberto, di 33 anni, andò a Brasov, in Transilvania, con la compagna. Il 7 gennaio la donna gli chiese di farle incontrare un ex e lui la accompagnò. Ma poi ci fu un litigio, e alla fine Mozzoni venne travolto dalla Seat Toledo del romeno, Razvan Radu Baican. Tre anni dopo, Baican è stato condannato a cinque anni di reclusione per omicidio colposo, con un risarcimento di circa 25mila euro nei confronti del padre, e 35mila nei confronti del figlio del defunto, all’epoca un bambino.
Giancarlo Mozzoni, treiese conosciuto non solo in provincia per la sua attività di commercio tessuti, ha seguito il processo in Romania: il suo difensore, l’avvocato Renzo Merlini, ha affidato l’incarico a uno studio di Bucarest perché la famiglia partecipasse al giudizio e ne conoscesse gli esiti. Ma una volta informati della sentenza, in Italia non arrivano più notizie. «Non avevamo alcun risarcimento, non sapevamo nulla neppure dell’auto di mio figlio, nuovissima. Allora con l’avvocato Merlini nel 2014 abbiamo fatto causa all’Allianz, l’assicurazione del romeno che avrebbe dovuto pagare quanto previsto. Intanto ci siamo rivolti alla prefettura, per segnalare quanto stava accadendo. La prefettura ha contattato l’ambasciata italiana, da dove ci hanno risposto che se non era stata data esecuzione alla sentenza non c’era più nulla da fare; il portavoce del tribunale di Brasov si era impegnato a cercare di chiarire la vicenda. Ma a quel punto abbiamo cercato di capire, sempre attraverso l’ambasciata italiana, se la sentenza era stata fatta eseguire dagli avvocati di Bucarest che all’epoca avevamo incaricato per il processo».
E così, a giugno del 2017, dieci anni dopo la morte di Roberto, Mozzoni ha scoperto che la sentenza era stata eseguita a maggio del 2012. «L’assicurazione – prosegue il treiese – aveva versato il risarcimento previsto per me e per mio nipote all’avvocato romeno Eugen Cristinel Dinu. Ma come hanno fatto? Io ho mandato una procura per loro, ma solo per il processo. Qualcuno avrà firmato l’assegno? Come ha fatto l’assicurazione a versare quella somma all’avvocato in Romania e non direttamente alle parti interessate. Ovviamente, di questo pagamento nessuno ci ha mai detto niente. Gli avvocati che avevamo contattato non ci hanno mai informato, men che meno ci hanno girato i soldi che erano per noi».
A questo punto, il treiese si trova ad affrontare una battaglia sempre più difficile, dopo il dolore di aver perso un figlio giovanissimo. «C’è da informarsi su come funziona a Brasov, avrei bisogno dell’assistenza dell’ambasciata, ma non riesco a farmi ascoltare. L’avvocato qui sta facendo il possibile, ma da solo non può risolvere una questione in Romania. Subito dopo aver scoperto che il risarcimento era stato pagato, abbiamo segnalato l’accaduto alle autorità romene facendo i nomi degli avvocati che ci avevano seguito, spiegando cosa era successo. Ma sono passati due anni, e non abbiamo ancora avuto alcuna risposta. Cosa dovrebbe fare un padre nelle mie condizioni? A me importa fino a un certo punto di quei soldi, ma Roberto aveva un figlio, perché questo ragazzo che ha perso il padre da piccolo non deve avere quello che gli spetta, il minimo dovuto per la perdita di un genitore? Io mi aspetto che le autorità italiane non lascino correre un fatto del genere».