Una giornata di silenzi, riunioni e musi lunghi, quella di ieri, dopo una serata di lunedì segnata da forti turbolenze alla ricerca dell’agognata "unità" che, al momento, c’è solo su carta. E la carta è quella della segretaria regionale del Pd Chantal Bomprezzi che, nel corso della lunga relazione letta in occasione dell’infuocata Direzione dem ad Ancona, ha sfiduciato il capogruppo in Regione Maurizio Mangialardi, con cui i rapporti sono tesi e appaiono irrecuperabili, invocando "un cambio di passo e di guida" e chiamandolo a "un gesto di responsabilità". Che se non fossero rappresentanti dello stesso schieramento politico, quelle parole di Bomprezzi ("è evidente che sia venuto a mancare quel rapporto di fiducia fondamentale tra il capogruppo e il partito") suonerebbero a mo’ di "espulsione". Ma in realtà si tratterebbe di un’indicazione piuttosto esplicita al gruppo consiliare. Perché, come noto, da statuto la segretaria non può chiedere le dimissioni da capogruppo ma, al massimo, è il gruppo consiliare stesso che può votarne la sfiducia. Al momento Mangialardi continuerebbe ad avere la maggioranza dei voti. La spaccatura interna è nota. Il ribattezzato "dossier anti Bomprezzi" (mai citato, ad onor del vero, dalla segretaria nella relazione) presentato alla Schlein è stato soltanto l’ultimo atto di una serie di divisioni. Basti pensare alla sottoscrizione di sei consiglieri dem su otto. Oltre a Mangialardi anche Andrea Biancani, Anna Casini, Micaela Vitri, Fabrizio Cesetti e Manuela Bora, mentre non c’è stata la condivisione di Antonio Mastrovincenzo e Romano Carancini (molto vicini a Bomprezzi). Tra una riunione e l’altra, nei corridoi di Palazzo Raffaello, ieri Mangialardi ha preferito non commentare. Dopo una tregua armata, le parti torneranno a confrontarsi dopo Pasqua.
CronacaResa dei conti nel Pd regionale. Bomprezzi "sfiducia" Mangialardi, in bilico il ruolo di capogruppo