"Ebbi i natali il 5 maggio 1852 in Capovallazza, uno dei villaggi che formano il comune di Ussita, in mezzo ai monti Sibillini, a circa 750 metri su livello del mare". È una delle frasi che il cardinale Pietro Gasparri, artefice della codificazione canonica del 1917 e dei Patti lateranensi del 1929, scrisse nelle sue "Memorie". Alla loro stesura dedicò il proprio tempo dopo essere stato, dal 1914 al 1930, segretario di Stato di due Papi: di Benedetto XV, che lo nominò, e di Pio XI, che – dovendo a lui la propria elezione – lo confermò nell’incarico. Gasparri, infatti, nel 1922 fu ad un passo dal diventare l’undicesimo pontefice marchigiano e il terzo della provincia di Macerata, dopo Marcello II e Pio VIII.
Dopo la morte di Benedetto XV, Gasparri era il candidato predestinato, ma nel conclave non riuscì ad ottenere il quorum richiesto per l’opposizione dei cardinali francesi e spagnoli, che volevano eleggere uno di loro. Al nono scrutinio Gasparri invitò a convergere sull’allora arcivescovo di Milano, Achille Ratti, che fu poi eletto. Le "Memorie", in cui Gasparri narra gli eventi che lo videro protagonista e in cui non fa mistero del suo attaccamento al paese natale, furono parzialmente pubblicate, a cura di Giovanni Spadolini, più di quarant’anni dopo la morte del cardinale, avvenuta 90 anni fa, il 18 novembre 1934 nella casa che egli ebbe in comodato a Roma, nel parco di colle Oppio. Lì Gasparri si era ritirato dopo aver rassegnato, il 10 febbraio 1930 (vigila del primo anniversario del Concordato firmato con Mussolini), le dimissioni da segretario di Stato di quello che – grazie alla sua opera diplomatica – era diventato lo Stato sovrano della Città del Vaticano.
Alla soluzione della "questione romana", che si protraeva da quando egli era seminarista, Gasparri aveva lavorato per almeno un ventennio. Se fosse stato per lui la conciliazione tra Italia e Santa Sede sarebbe avvenuta già nel 1919, ma all’epoca il re Vittorio Emanuele III non volle avallare l’intesa di massima raggiunta nelle trattative segrete condotte tra rappresentanti delle due parti. Nella storia d’Italia il nome di Pietro Gasparri è legato solo a quella firma da lui apposta l’11 febbraio 1929 in calce ai Patti Lateranensi, mentre nella storia della Chiesa egli ebbe ruoli di primo piano per diversi decenni, sia come diplomatico, sia come fine giurista. Fu coordinatore e principale redattore del Codice di diritto canonico, studioso e saggista.
All’età di 28 anni fu chiamato come docente di diritto canonico all’Institut catholique di Parigi e vi rimase fino al 1898, quando papa Leone XIII, che lo aveva ordinato arcivescovo e poi insignito del titolo cardinalizio, lo nominò delegato pontificio in Perù, Bolivia ed Ecuador. Degli anni in Sud America egli ricordava i viaggi a cavallo lungo le asperità dalle Ande, che lo riportavano con la mente ai suoi Sibillini. Ad Ussita ritornava tutti gli anni in estate per ritemprarsi, tra la sua gente, i parenti e le passeggiate sui monti. L’anno prima di morire, su proposta di Guglielmo Marconi, fu nominato Accademico d’Italia. Egli accettò a condizione – poi accolta – che il re e Mussolini lo esonerassero dal prestare giuramento. Le sue spoglie sono attualmente nella cripta della cattedrale di Camerino.