
L’ex assessore Carlo Sirocchi reclama maggiori controlli dopo le aggressioni di minorenni
"Le aggressioni avvenute a Porto Recanati sono legate alla scarsità di controlli e alla poca presenza delle forze dell’ordine sul territorio. Non è più sufficiente una stazione dei carabinieri ma serve quantomeno una tenenza, con una pattuglia fissa e operativa ogni notte". Così l’ex assessore alla sicurezza Carlo Sirocchi, 63 anni e ufficiale in congedo dell’esercito, si esprime sull’escalation di violenza che si è consumata nell’ultima settimana in città. Nel giro di pochi giorni due minorenni, un 15enne e un 14enne, sono stati picchiati da una banda di ragazzini extracomunitari, più o meno della stessa età. Per questo Sirocchi lancia diverse critiche alla giunta portorecanatese.
"Il problema c’è quando un sindaco non si si impone e non batte i pugni sul tavolo nelle sedi opportune – aggiunge l’ex assessore –. Insomma, ci vuole prima la prevenzione e non solo la repressione. Tra l’altro mancano in paese persino i luoghi di aggregazione per giovani. Perciò i ragazzi vanno a fare i danni sul lungomare e nei vicoli, dove ci sono ampie vie di fuga. Ricordo – sottolinea Sirocchi – che fu proprio il sottoscritto, da assessore, a realizzare e far installare il sistema di videosorveglianza pubblica, oltre ad armare con la pistola gli agenti della polizia locale e a creare il gruppo cittadino dell’associazione nazionale carabinieri".
L’ex assessore ha anche qualcosa da ridire sulla mostra d’arte "Vulva Gallery", organizzata la scorsa settimana dal Comune in occasione della giornata per la donna, mostra che a causa del suo nome aveva generato le forti polemiche del centrodestra. "Il titolo scelto non è neutrale né inclusivo: è divisivo, volutamente provocatorio e soprattutto riduttivo – rincara la dose Sirocchi –. La donna, la sua storia, la sua identità vengono condensate in un termine anatomico, come se la sua essenza si esaurisse in una parola. Siamo di fronte all’ennesimo esempio di come la comunicazione moderna si riduca spesso a un marketing aggressivo e superficiale, mascherato da impegno sociale. Il vero problema – osserva ancora – è che questo tipo di linguaggio non unisce, ma divide. Non educa, ma scandalizza. Non invita al dialogo, ma costringe chiunque osi dissentire a difendersi dall’accusa di arretratezza culturale. Un atteggiamento che ricorda più una forma di imposizione ideologica che una reale apertura al confronto. L’arte dovrebbe aprire menti e cuori, non creare inutili barriere linguistiche e generazionali".
Giorgio Giannaccini