Macerata, 18 maggio 2019 - Mohammad Touré, il 26enne originario del Mali, il ferito più grave tra le sei vittime di Luca Traini, si trova ora in mezzo alla strada. È stato buttato fuori dal progetto d’accoglienza in quanto ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari. E non ha potuto avere quello di giustizia, che era stato promesso a tutte le vittime, proprio perché destinatario dell’altro titolo di soggiorno: rischia così di non poter vedere (a differenza degli altri feriti nel raid) la fine del processo di appello a Traini.
Orfano, ha lasciato il suo Paese per fuggire da una situazione di conflitto. «Non mi aspettavo che, scappato da una zona di guerra in Mali, il Paese ospitante mi avrebbe anche buttato in mezzo a una strada, dopo che già sono stato ridotto in fin di vita per motivi razziali». Lo afferma con una grande amarezza, oggi, il 26enne, al quale, quella mattina del 3 febbraio 2018 Traini sparò mentre passeggiava in via dei Velini, colpendolo al torace e all’addome: fu operato, e rimase ricoverato per 16 giorni. «Era stato anche in Rianimazione – precisa il suo legale, l’avvocato Gianfranco Borgani –, ha sofferto molto. Adesso sta un po’ meglio, però ha perso il diritto a vitto e alloggio in quanto lo Sprar non è più compatibile con la tipologia del suo permesso di soggiorno. E così, oltre a non aver visto un euro di risarcimento, adesso non ha più diritto a una casa né a nulla».
«Viene decretata la revoca delle misure d’accoglienza nei confronti di Touré con effetto immediato poiché già titolare di soggiorno ‘motivi umanitari’», si legge sull’atto della prefettura. Così, dal 30 aprile, Touré è in strada: «Si arrangia dormendo da amici, mangia da loro, va avanti come può – racconta Borgani –. In tasca non ha un soldo. Ha provato a cercare lavoro ed è disposto a tutto ma, tra le difficoltà della lingua e quelle per il trauma, e con il fatto che il permesso di soggiorno è precario (scadrà l’estate del prossimo anno) finora non ha trovato nulla». Touré era assegnato a un centro accoglienza temporanea a Macerata, gestito dal Gus, «in quanto richiedente asilo e perché privo di mezzi di sussistenza»: dal momento che ha avuto il permesso umanitario, ha perso uno dei requisiti essenziali per restare nel progetto in quanto non più richiedente asilo. Non può più beneficiare del progetto Sprar, «con tutto ciò che questo comporta – fa notare Borgani –. Il progetto Sprar serve anche per l’inserimento lavorativo.
Togliendolo da lì, viene meno ogni progettualità di vita per lui. Quanto al ricorso, c’è tempo fino a metà giugno per presentarlo al Tar, valuteremo se ne vale la pena». Per molti mesi, il 26enne aveva avuto difficoltà a uscire di casa: Borgani aveva ripetuto che, «se si viene feriti solo per il colore della pelle, è legittimo pretendere un risarcimento per danni morali, oltre che materiali. Touré poi ha rischiato di non farcela». Nella relazione su di lui, la psicologa scriveva che il ragazzo, dopo Traini, ha vissuto «una fase di rimozione e negazione dell’evento» con stati ansioso-depressivi che ne compromettevano la ripresa delle normali attività quotidiane. Nella relazione, si parlava anche di «riattivazione di ricordi ed emozioni legati alla difficilissima e pericolosa permanenza in Libia».