REDAZIONE MACERATA

"L’odissea con mia madre al pronto soccorso"

Una maceratese racconta l'esperienza al pronto soccorso con la madre malata di Alzheimer. Critiche alla mancanza di comunicazione e assistenza, ma anche riconoscimento per il personale dedicato.

"L’odissea con mia madre al pronto soccorso"

L’ingresso del pronto soccorso dell’ospedale di Macerata: una donna racconta l’esperienza vissuta con sua madre

"Preferisco il Paradiso, ma a volte sei costretto a passare per l’Inferno". Inizia così la lettera di una maceratese, che racconta quanto vissuto al pronto soccorso del capoluogo, "perché non voglio accettare ciò che è disumano per coloro che attraversano quella porta".

"Mia madre, una straordinaria 84enne malata di Alzheimer, cade e viene portata al pronto soccorso. Non so che codice abbia, nessuno me lo dice. Viene messa in una stanza dopo aver fatto le analisi. Sono le 19.30. Ho portato da casa cuscino, coperta, un cambio, acqua, qualcosa da mangiare, medicine: sapevo che avremmo avuto una lunga attesa. La prima informazione dal 118 è una sospetta frattura al femore. Un infermiere molto accogliente ci fa capire cosa potrebbe accadere e ci dà un’ipotesi dei tempi: questa informazione mi basta e ci mettiamo in attesa. Ma passa il tempo e nessuno viene a parlare con noi. Intanto l’agitazione sale e ci si sente abbandonati. Qualcuno, se provi a chiedere, ti rimanda al dottore che non può parlare con te. A mia madre fanno qualcosa a mezzanotte e 40, parlo al telefono con un dottore molto sbrigativo, voleva sapere come fosse caduta. Prima di quell’ora mamma è rimasta sulla lettiga, in dormiveglia, e non poteva essere cambiata: dalle 17 aveva lo stesso pannolone. ll giorno dopo alle 8 provo ad avere alcune informazioni essenziali: può fare colazione, prendere le medicine? La prima cosa necessaria per la seconda. Cosa stiamo aspettando, visto che ha già fatto la lastra? Tutto tace. Provo a scrutare il volto di qualche infermiere per capire se è disponibile a rispondere a una domanda semplice, e senza la quale non so cosa fare. L’infermiere mi rimanda al medico, ma quella porta non si apre prima delle 10. Il dottore, giovane e gentile, mi dà alcune informazioni ma ha fretta. È al computer, stanno arrivando situazioni più urgenti. Intanto so che non ha la frattura alla gamba. Posso anche darle da mangiare e le medicine. Non vedo un dottore fino alle 13.30, e come me altre due pazienti attendono per ore. Non è facile la realtà del pronto soccorso, lo so, vorrei però essere vista, e capire cosa si può o non si può fare. Quindi torno dall’infermiere e chiedo se posso portare via mia madre, magari per farle una Tac privatamente. Mi risponde che sono libera di farlo e mi chiede il nome di mia madre. E finalmente ecco un’altra informazione: dobbiamo aspettare la Tac di controllo, dopo 24 ore, poi si deciderà. Ringrazio e torno in stanza. Bisogna un po’ lottare, spingere, ma poi qualcosa ottieni. Ma perché devi sentire che qualcuno ha un potere sulla tua vita e sulle tue decisioni, come se una forza occulta muovesse tutto? Chi lavora al pronto soccorso, sogno che lo faccia per passione. In alcune occasioni l’ho anche visto. A volte mi chiedo come faccia a restare. Chi entra, però, è solo costretto dalla vita e spesso non può scegliere. C’è una inderogabile necessità di potenziare il pronto soccorso, perché le persone possano essere seguite con il tempo necessario anche a dare una risposta".