PAOLA PAGNANELLI
Cronaca

La professoressa russa: "La morte di Navalny? Somiglianze paurose con i Gulag di Stalin"

L’analisi di Natalia Guseva, docente dell’Università di Macerata "Nella mia mente una sola domanda: com’è possibile che il tuo paese sia un aggressore contro i paesi limitrofi e contro i suoi stessi cittadini?".

La professoressa russa: "La morte di Navalny?. Somiglianze paurose con i Gulag di Stalin"

La professoressa russa: "La morte di Navalny?. Somiglianze paurose con i Gulag di Stalin"

"Adesso sappiamo per certo che ogni oppositore è a rischio di eliminazione fisica: la somiglianza con il Gulag dei tempi di Stalin è sorprendente e paurosa". La professoressa Natalia Guseva, docente di cultura, lingua e traduzione russa all’Università di Macerata, osserva con preoccupazione e sgomento quanto sta avvenendo nel suo paese, dopo che il dissidente Alexei Navalny è morto nella colonia penale artica in Siberia. Era detenuto dal gennaio 2021. "Il 16 febbraio ho aperto Instagram e nel primo post c’era la foto di Navalny e la scritta in russo "Navalny è morto". Stentavo a crederci. Morto? Non doveva, non poteva morire. Con quell’aria da eroe invincibile, doveva vivere ancora, uscire dal carcere e vincere contro quel male che ha costretto molti russi a vivere in un incubo quotidiano. Nella mia mente pulsa una sola domanda: com’è possibile che il tuo paese di origine sia diventato un aggressore contro paesi limitrofi e contro i suoi stessi cittadini? Altri possono giustificarlo forse. Io no. È una tremenda delusione, come scoprire che i tuoi genitori sono dei criminali. E tu? Chi sei adesso? Una criminale anche tu? La notizia della morte di Navalny ha provocato in molti russi la stessa sensazione di abbattimento che abbiamo provato il 24 febbraio 2022, quando abbiamo saputo dell’attacco contro l’Ucraina".

Navalny non è il primo oppositore di Putin a perdere la vita. Perché fa più effetto?

"Ci sono stati i casi Politkovskaja e Nemcov, per nominarne qualcuno. Ma se gli altri erano in libertà al momento della morte e, quindi, i moventi di natura non politica potevano essere credibili fino a un certo punto, Navalny era da due anni alla mercé del potere e ciò sembrava una garanzia. Ci sembrava che Putin dovesse seguire la regola non scritta: non far male al tuo nemico, prenditi cura di lui, altrimenti sarai accusato di averlo ucciso. Ma per l’ennesima volta siamo caduti nella trappola che ci fa porre fiducia nel ragionamento e comportamento umano di Putin. No, lui è diverso".

Perché si dubita che sia stata una morte naturale?

"Perché ci sono molte contraddizioni nelle informazioni diffuse dal governo: la tempistica dell’annuncio della morte e della sua causa, il rifiuto di restituire la salma se non dopo due settimane, l’assenza delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza. Rimangono tante domande senza risposta. In un paese europeo, sarebbe stato d’obbligo per qualsiasi governo rispondere a queste domande".

Non ci si può fidare delle informazioni diffuse dal Governo?

"A causa della lontananza del carcere da Mosca, nei primi giorni le informazioni diffuse dal governo erano l’unica fonte. In seguito, con l’arrivo degli avvocati e dei famigliari sul posto, le informazioni saranno più attendibili. La moglie di Navalny dopo la notizia sulla morte di suo marito, parlando alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, non ha mai usato la parola "morte" o "morto" e ha ripetuto che non ci si può fidare di quello che dicono le fonti ufficiali. Aspettiamo. La verità uscirà fuori".

Ma come ne esce Putin?

"Come sempre: dicendo che non trae nessun vantaggio da questa morte e, quindi, non la si può attribuire a lui".

C’è un’ondata di dissenso in Russia? O prevale la paura?

"Le persone che possono manifestare dissenso sono fuori dai confini della Russia. Il dissenso è una categoria democratica non applicabile alla realtà russa. I cittadini russi che si trovano in Russia e si indignano hanno paura. L’avrei anche io. Dobbiamo avere paura, invece, di perdere altri oppositori che si trovano in carcere. Ad esempio, non ci sono notizie da quasi due settimane di Il’ja Jašin che a gennaio 2023 ha inviato, dal carcere, una lettera al quotidiano "La Repubblica" per raccontare la verità sul conflitto in Ucraina".