LUCIA GENTILI
Cronaca

La prof e la liberazione del "Lupo": "Traini ha fatto il suo percorso, ma la città è rimasta a sette anni fa"

Caraceni: restano gli stessi schieramenti polarizzati, basta leggere alcuni commenti di questi giorni

Caraceni: restano gli stessi schieramenti polarizzati, basta leggere alcuni commenti di questi giorni

Caraceni: restano gli stessi schieramenti polarizzati, basta leggere alcuni commenti di questi giorni

"Il carcere non rieduca nessuno, anzi. Il caso di Luca Traini rappresenta il funzionamento del sistema penitenziario, come dovrebbe essere l’esecuzione della pena. L’affidamento in prova ai servizi sociali è la misura alternativa alla detenzione più rieducativa in assoluto. Bisogna ricordare che attualmente Traini è un detenuto in esecuzione di pena, la sta scontando fuori dal carcere". A parlare è la professoressa Unimc di diritto processuale penale e diritto penitenziario Lina Caraceni, che riflette anche sulle reazioni nella comunità, tra chi considera Traini un eroe e chi si scandalizza sul fatto che sia stato rimesso in libertà. "La città non ha ancora fatto i conti con quello che è successo nel 2018", afferma la docente. Il tribunale di sorveglianza di Ancona ha accolto la richiesta della difesa e il 35enne lunedì ha avuto il via libera per uscire dal Barcaglione, dove stava scontando una condanna a dodici anni per strage aggravata dall’odio razziale. Ha scontato sette anni, gli è stata concessa la liberazione anticipata grazie al suo comportamento.

Professoressa Caraceni, cosa pensa dell’affidamento in prova di Traini? "Dovrebbe essere la normalità. La Costituzione vuole che le pene debbano rieducare i condannati. Questa misura alternativa al carcere favorisce la rieducazione; se una persona presenta un’evoluzione, deve avere la possibilità di ricominciare a reinserirsi nella società, dove tornerà quando sarà libero a tutti gli effetti. Se vogliamo persone cambiate, è necessario che durante l’esecuzione della pena siano fuori dal carcere, prima che abbiano finito di scontarla quindi. Tutti dovrebbero avere l’opportunità che ha avuto Traini. Ovviamente coloro che hanno requisiti oggettivi; ad esempio bisogna essere all’interno dei limiti di pena, sotto i 4 anni, e avere un lavoro. L’affidamento in prova taglia ogni legame con il carcere, ma richiede prescrizioni molto rigorose".

Quali? "In generale è obbligatorio il lavoro, fare colloqui con i servizi sociali, divieto di frequentare luoghi e persone che possano portare a una recidiva. Traini deve fare una vita normale, stare a casa entro le 22. Continua il suo percorso di recupero, ha bisogno di sostegno e il lavoro è un mezzo per aiutarlo. È interessante che un imprenditore (Fabio Porfiri della Porfiri snc a Passo del Bidollo, Corridonia, ndr) abbia accolto questo ragazzo affinché riprenda la sua vita, pur lavorando in esecuzione di pena. Gli consentirà di essere reinserito più rapidamente. Non è facile superare lo stigma del carcere, basta vedere alcuni commenti di questi giorni".

Perché non tutti coloro che hanno i requisiti possono accedere all’affidamento in prova? "Può capitare che i magistrati di sorveglianza nella valutazione considerino il cambiamento non reale e abbiano paura che il condannato torni a delinquere. Oppure non ci sono opportunità di lavoro o il detenuto non ha una casa o una famiglia a supporto. Traini ha un fratello e un padre. Nel suo caso poi l’ambiente detentivo, grazie agli operatori, ha permesso di fare progressi".

Perché dice che Macerata ancora deve fare i conti con quanto accaduto? "Traini ha fatto il suo percorso. Ma la città è rimasta a sette anni fa, con gli stessi schieramenti polarizzati a favore e contro, senza passi in avanti. Ecco perché è importante la giustizia riparativa in fase di esecuzione della pena: serve a superare le fratture e sanare le ferite mettendo in comunicazione le vittime – non solo quelle dirette, ovvero le sei persone ferite la mattina della sparatoria, ma la città tutta – e l’autore. L’omicidio di Pamela Mastropietro e il raid di Traini non appartengono a una città che possiamo definire tranquilla. C’è qualcosa di sopito da affrontare e risolvere prima che qualcun altro pensi di farsi giustizia da solo. Bisogna mettersi a un tavolo, parlare e capire. Altrimenti la città sarà sempre spaccata. Io sono da tempo in prima linea a tutela dei migranti, ma penso anche che in questo caso il processo non abbia dato soddisfazione alle vittime. Le contrapposizioni non fanno bene a nessuno".