CHIARA SENTIMENTI
Cronaca

"In fuga dalle bombe con mio figlio disabile"

L’odissea verso la salvezza di Elena Orsak, accolta dalla Caritas alla domus San Giuliano: "Non finirò mai di ringraziare chi ci ha aiutati"

di Chiara Sentimenti

Sei giorni di viaggio, prima in treno fino in Polonia, poi in autobus per arrivare a Roma e successivamente a Civitanova. Tutto con uno zaino in spalla e una valigia in mano. Nell’altra ha sempre tenuto stretta la mano di suo figlio Gleb, di 27 anni, riuscito a scappare con lei da Kiev solo perché affetto da una disabilità alle gambe. Nella sua fuga dalla guerra, però, Elena Orsak racconta di aver incontrato tanta solidarietà, quella delle persone che le hanno pagato i biglietti per gli spostamenti e di chi l’ha ospitata per qualche giorno nella sua casa.

Da circa un mese, poi, grazie alla Caritas e ai contatti tra le amministrazioni, Elena e suo figlio Gleb sono due degli otto ucraini accolti alla domus San Giuliano. "Sono donne e due bambini che abbiamo inserito alla scuola De Amicis – racconta don Ihor Olkhovskyi, anche lui ucraino ma dal 1993 in Italia, che si occupa dell’accoglienza alla domus –. Tutti sono arrivati in maniera separata, attraverso amicizie o conoscenze, altri siamo andati a prenderli a Civitanova e poi li abbiamo trasferiti a Macerata, dove hanno ricevuto i documenti di soggiorno ed effettuato i controlli sanitari. Altri 32 profughi sono accolti a San Lorenzo di Treia e alcuni anche ad Avenale. La macchina dell’accoglienza si è messa in moto da subito per offrire un aiuto a queste persone e stiamo ricevendo sostegno anche da persone e imprenditori che donano viveri o vestiario".

Elena Orsak e suo figlio sono arrivati a Civitanova il 6 marzo, dopo sei giorni di viaggio. "Mia madre ha 83 anni ed è rimasta a Kiev perché mi ha detto che affrontare un tragitto così lungo l’avrebbe fatta morire – racconta la donna –, per cui sono partita solo con mio figlio. Dopo due tentativi falliti di prendere il treno per la Polonia, l’amministrazione di Kiev ha messo a disposizione un treno per i disabili che ci ha portato fino a Varsavia, dove abbiamo dormito una notte per ripartire la mattina seguente in autobus verso Roma". Un viaggio verso l’Italia che già aveva ospitato Elena e suo figlio qualche anno fa, perché il ragazzo si era sottoposto a un’operazione all’ospedale di Fermo. "Prima di partire dell’Ucraina mi sono detta se l’Italia ci avrebbe potuto accogliere una seconda volta e così è stato – aggiunge –. Soprattutto a Civitanova dove siamo stati ospiti a casa di una donna che non finirò mai di ringraziare, ci ha offerto una stanza, dato da mangiare e si è attivata con tutti i suoi contatti, anche attraverso il sindaco e la Caritas, per trovarci una sistemazione definitiva. Abbiamo trovato tante persone che ci hanno aiutato al Centro di ascolto di Macerata, alla Caritas e qui alla Domus. Mio figlio, che parla bene l’italiano, ci sta aiutando a fare da interprete e sta prendendo contatti anche con l’Università per potersi rendere utile". "Tutti vogliono fare qualcosa, gli ucraini non amano essere un peso sulle spalle di chi li ha accolti – racconta don Ihor –. Le donne sono pronte a lavorare: c’è chi faceva l’estetista, chi l’infermiera ed Elena ci dà una mano con la cucina. Anche io ho diversi parenti ancora in Ucraina: la situazione è tragica, tanti mi chiamano per sapere se li possiamo accogliere e come possono fare per fuggire".