Storie di militari e civili, ma soprattutto storie di uomini dietro la consegna delle medaglie d’onore nel Giorno della Memoria. A ritirare il riconoscimento i figli degli insigniti, decisi a ricordare la vita e l’esperienza di guerra dei padri scomparsi. "Sapevo che papà era stato prigioniero, ma all’inizio non sapevo né come né perché – spiega Giovanni Teodori, figlio di Tomassino, appignanese internato militare in Germania –. Mio padre non ha mai raccontato di sé, se non con quelle sei o sette parole in tedesco pronunciate a tavola. Per questo ho iniziato a indagare, trovando a mano a mano tantissimo materiale nell’Archivio storico di Roma. L’allora ministro per la Difesa, il maresciallo Rodolfo Graziani, su richiesta del colonnello delle SS Herbert Kappler, ordinò al generale Casimiro Delfino (comandante pro-tempore dell’Arma) il disarmo e la consegna in caserma di tutti i carabinieri in servizio a Roma: circa 2.500 carabinieri prigionieri, tra cui mio padre, vennero deportati e internati in Germania in condizioni di detenzione ancora peggiori dei prigionieri di guerra. Tutto ciò avvenne perché Kappler, vista la confidenza dei militari dell’Arma con la popolazione, temeva che questi potessero ostacolare il rastrellamento degli ebrei. Sono situazioni che mio padre non riusciva a raccontare, se non con dei particolari, come il fatto che rubavano le patate perché non bastava il cibo". Nerio Ciccola, figlio dell’insignito Giuseppe Ciccola, di Montecosaro, racconta: "Ho conosciuto mio padre solo per sei anni, è morto nel 1959. Tornato dalla prigione si ammalò di nevrite e al tempo non c’erano cure. Me lo ricordo pochissimo e so poco della sua esperienza, se non che fu deportato dalla Jugoslavia in Germania, al confine con l’Olanda. Ho tentato sempre di trovare qualche suo amico per approfondire la storia, per mantenerne vivo il ricordo, ma è stato complicato".
Martina Di Marco