Guzzini "La mia vita fuori dagli schemi"

Adolfo, 83 anni, racconta la sua storia di imprenditore che ha illuminato tutto il mondo. "Ho venduto l’azienda per darle un futuro"

Guzzini "La mia vita fuori dagli schemi"

Adolfo, 83 anni, racconta la sua storia di imprenditore che ha illuminato tutto il mondo. "Ho venduto l’azienda per darle un futuro"

di Franco Veroli

RECANATI (Macerata)

Martedì alle 18 all’auditorium iGuzzini di Recanati si terrà la presentazione del libro di Adolfo Guzzini ‘Ho visto la luce’ a cura di Giacomo Solari. La storia di un imprenditore che ha portato la luce di Recanati nel mondo, come recita il sottotitolo. Ultimo di sette fratelli, Adolfo Guzzini (foto), 83 anni, entra nel 1964 in Harvey Guzzini, l’azienda artigianale di famiglia che produceva lampade in acrilico. Insieme ai fratelli fondatori la trasforma nella iGuzzini Illuminazione, azienda di illuminotecnica leader nel mondo, di cui è stato presidente e amministratore delegato fino al 2019, anno in cui è stata ceduta al gruppo svedese Fagerhult.

Qualcuno l’ha definita un "indisciplinato" e un "visionario" a partire dai suoi anni giovanili. Si riconosce in questa definizione?

"Se questi due termini si riferiscono al fatto che non sopporto schemi rigidi e che ho una incessante curiosità, che è diventata spesso inventiva, e che sono aperto costantemente al nuovo, a guardare avanti con ottimismo, certamente sì".

Anche per questo al terzo anno di Ragioneria ha litigato con la sua insegnante di Matematica?

"Diciamo che non ci eravamo simpatici. Sentivo che tagliava le ali alla mia immaginazione e alla mia fantasia. Questo mi ha costretto ad un percorso irregolare per arrivare al diploma, che però, ho poi conseguito senza problemi. Ho sempre guardato e continuo a guardare al futuro. Ma non si può andare da soli, perché da solo sbatti il muso. Questo l’ho capito subito".

In che modo?

"La mia avventura è iniziata nella grande famiglia Guzzini: mio padre, mia madre i miei fratelli, gli zii hanno creato le condizioni umane e professionali grazie alle quali sono poi riuscito a dare vita alla iGuzzini Illuminazione. Poi, certo, le tante persone con cui ho avuto modo di lavorare e collaborare, tra i quali importantissimi professionisti, hanno ampliato la platea, ma confermando che i risultati si raggiungono insieme".

Quando è iniziato questo percorso?

"Dal 1961 al 1964 ho lavorato in Fratelli Guzzini in amministrazione, a fianco di mio fratello Giuseppe. Poi, a 23 anni, grazie a Giovanni e Raimondo, sono stato chiamato a dirigere la Harwey Creazioni, diventata poi Harwey Guzzini. Da questa poi, a metà degli anni Settanta, è nata iGuzzini".

E, quindi, c’è stato il passaggio dall’illuminazione all’illuminotecnica…

"Sì, in cui decisivo è stato l’apporto di Bruno Gecchelin, coniugando luce e design. Fu poi Renzo Piano a farci fare il vero salto di qualità internazionale nell’Illuminotecnica, con il nostro intervento al Lingotto, ex stabilimento Fiat dismesso. Su disegno dello stesso Piano nacque la lampada Lingotto. Per fornire nei tempi le circa 1.500 lampade richieste dovemmo bloccare per qualche mese tutti gli altri progetti".

Poi è venuto il momento dell’Arte….

"Nel 1998 abbiamo offerto gratuitamente alla Galleria Borghese a Roma un impianto di illuminazione con un investimento complessivo di 850 milioni di lire. Poi la Basilica di San Pietro per la Pietà di Michelangelo e, nel 2015, l’illuminazione del Cenacolo di Leonardo nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano. A seguire l’illuminazione di ambienti urbani e tanto altro".

E’ vero che c’è un rapporto tra luce e democrazia?

"Alla fine degli anni Novanta abbiamo finanziato una ricerca della graduate school of Design dell’università di Harvard, intitolata "Luce e democrazia", in cui si fornivano indicazioni per rendere gli spazi urbani, grazie ad un uso sapiente della luce, luoghi di socializzazione e, quindi, di educazione alla democrazia". Perché nel 2018 l’azienda è stata venduta agli svedesi di Fagerhult?

"Per darle un futuro che fosse il migliore possibile. Il mondo globale impone processi di aggregazione: o cresci o muori. Perché l’azienda continuasse a prosperare c’erano solo due possibilità: quotarsi in Borsa o entrare a far parte di un gruppo industriale più grande. E’ arrivata un’offerta dagli svedesi e l’abbiamo colta. Già nel 2005 affermavo che piccolo non è tanto bello, anzi forse è pericoloso. Oggi vale ancora di più".

Pur lanciato nel mondo, ha mantenuto sempre un rapporto molto forte con il territorio e Recanati…

"Assolutamente sì, proiettando il territorio in cui opera l’azienda in una dimensione aperta. Per quanto riguarda Recanati, finché posso cerco di dare una mano alla mia città perché è bella, pulita, un ferro di cavallo ben lucidato. Perché la bellezza va condivisa, i giovani vanno attratti, e niente li attrae quanto la bellezza".